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La vasta rete di ‘amici’ che coprì la latitanza di Mesina

Set 30, 2023

AGI – La latitanza di Graziano Mesina, esponente di spicco del banditismo sardo, fu coperta da una vasta rete di favoreggiatori, in ambito familiare ma non solo: gli ultimi giorni dell’ergastolano di Orgosolo, catturato a Desulo, nel Nuorese, dai carabinieri del Ros il 18 dicembre 2021, sono raccontati nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Cagliari, Michele Contini.

Dall’inchiesta della Dda è emerso un inquietante intreccio fra ‘colletti bianchi’ con contatti con i vertici istituzionali della Regione Sardegna, un’associazione segreta e una presunta associazione di stampo mafioso, alcuni componenti della quale erano impegnati nel traffico di droga. L’indagine è destinata ad allargarsi: durante le perquisizioni condotte nell’operazione ‘Monte Nuovo’, oltre a stupefacenti e contanti, sono state trovate anche munizioni e armi. Inoltre, i carabinieri hanno acquisito documenti in diverse sedi istituzionali, inclusa l’università di Sassari.

L’aggravante dell’agevolazione mafiosa

Sono una ventina le persone accusate di aver aiutato Mesina, ora in carcere per espiare una condanna per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. A loro viene contestato il favoreggiamento con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. L”aiuto a Mesina era considerato da alcuni indagati – si legge nell’ordinanza – “un atto dovuto”.

Così l’ergastolano è riuscito a sfuggire alla cattura dal 2 luglio 2020 per circa un anno e mezzo, senza bisogno di lasciare la Sardegna, ma nascosto nelle campagne da ‘amici’. Qualcuno, addirittura, gli dava del ‘voi’ in segno di riverenza.

Le microspie

Nelle intercettazioni telefoniche e ambientali dei carabinieri del Ros Mesina, durante il trasporto da un covo a un altro, veniva indicato come ‘vino’, in modo da per sviare gli investigatori. Il gruppo aveva preso ogni precauzione per non farsi scoprire: incontri fissati attraverso ‘triangolazioni’, nonostante le persone avessero legami stretti e non avessero bisogno di intermediari per vedersi; telefonini lasciati nelle fioriere fuori da un bar di Orgosolo o sul cofano dell’auto, mentre i proprietari si allontanavano per chiacchierate confidenziali, persino controlli sulle auto affidati a ‘bonificatori’ (uno dei quali fra gli indagati) per verificare l’eventuale presenza di ‘cimici’, poi trovate in almeno due casi. Ma nel secondo era ormai troppo tardi.

La microspia aveva già portato il Ros nella casa di Desulo (Nuoro) dove una coppia del posto stava ospitando Mesina; quell’abitazione non era la ‘prima scelta’ del gruppo, che aveva ipotizzato un’altra sistemazione, probablmente un ovile, ma la persona interessata all’ultimo momento non si era resa disponibile. Qualche giorno prima il latitante, senza neanche conoscere la sua destinazione, era stato trasferito in pieno giorno da un’azienda di Bono (Sassari), di proprieta’ di uno degli arrestati, probabilmente nascosto nel bagagliaio di un’auto assieme al suo inseparabile zainetto.

Gli indagati

Il gruppo di favoreggiatori, secondo l’accusa, ruotava attorno al nipote di Mesina, Tonino Crissantu e Nicolo’ Cossu (Nicola per gli amici, noto anche col nomignolo di ‘Cioccolato’), entrambi di Orgosolo, con pregresse condanne per sequestro di persona, ora in custodia cautelare in carcere anche per associazione di stampo mafioso. Cossu e’ ritenuto dalla Dda figura centrale anche per i contatti che intratteneva, spesso tramite ‘spuntini’ (incontri conviviali), con pregiudicati, politici regionali, amministratori locali, figure istituzionali, medici e professionisti.

Del gruppo – da quanto emerge dall’ordinanza del gip – facevano parte anche il primario del reparto di Terapia del dolore dell’ospedale Marino di Cagliari Tomaso Cocco, sospeso dalla massoneria il giorno stesso del suo arresto; Battista Mele, nipote di Cossu; Antonio Michele Pinna; Mario Antonio Floris, accusato di aver trasportato Mesina da Bono a Desulo, con l’aiuto di Paolo Sale e Tomas Littarru; Antonio Fadda e Antonio ‘Tonino’ Marteddu’, indagato per aver fornito rifugio al latitante in un’azienda agricola di Bono fino al 16 novembre 2021; Raffaele Gioi, parente del capofamiglia che ospito’ Mesina nel suo ultimo rifugio a Desulo, cosi’ come Anna e Salvatore Gioi; Giuseppe Paolo Frongia, nella cui abitazione di Desulo Mesina fu portato prima di essere spostato in casa Gioi; e Marco Lai, accusato di aver favorito quest’ultimo spostamento.

L’ultimo covo di Mesina

Ogni tanto Mesina faceva due passi fuori dalla casa della famiglia Gioi (i coniugi hanno patteggiato poco dopo la cattura del latitante, 3 anni Antioco Gioi e 20 mesi la moglie Basilia Puddu), poi rientrava nel covo. La famiglia ospitante era in ansia, come testimonia una telefonata in cui lo scoppio di un petardo per gioco in strada l’aveva messa in allarme; il rumore avrebbe potuto attirare l’attenzione dei carabinieri sulla casa dove Mesina alloggiava. Le intercettazioni sono proseguite anche dopo la cattura e alcuni degli indagati si sono lasciati andare a dichiarazioni compromettenti, convinti che la sorveglianza su di loro fosse cessata.

I carabinieri del Ros, nonostante la stretta vigilanza del gruppo, hanno assistito ai vari passaggi e sono entrati in azione a colpo sicuro prima che Mesina venisse trasferito di nuovo, dato che gli spostamenti venivano programmati dalla rete di amici. Fra oggi e la prossima settimana gli arrestati – alcuni in carcere, altri ai domiciliari – saranno sentiti dal gip per l’interrogatorio di garanzia.  

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