BRUXELLES. Anche con tutta la buona volontà del mondo, per aiutare l’Italia Bruxelles ha bisogno di essere aiutata. E per questo la Commissione chiede al governo di approvare subito un pezzo della manovra correttiva da 3,4 miliardi. Entro dieci giorni. In tempo per il rapporto sul debito italiano che sarà pubblicato il 22 febbraio. Altrimenti i negoziati si complicheranno davvero, entreranno in un terreno incognito dal quale Roma potrebbe uscire sotto procedura d’infrazione, con la sovranità economica limitata e la reputazione compromessa. E’ un incrocio tra calendario, tecnica e politica quello che si sta pericolosamente avvicinando per governo, Commissione e grandi Cancellerie. Andando per ordine, dopodomani Bruxelles pubblicherà le previsioni economiche d’inverno che non conterranno la correzione promessa da Padoan entro aprile per rientrare nei parametri su deficit e debito dopo avere beneficiato di 26 miliardi di flessibilità tra 2016 e 2017. Dunque i numeri inchioderanno l’Italia a una “deviazione significativa” dei conti rispetto agli obiettivi concordati con l’Europa. Ma niente paura, nel documento della Commissione si ricorderà che le misure annunciate da Padoan, se attuate, possono sistemare tutto.
E qui c’è lo scoglio. Il 22 febbraio la Commissione pubblicherà il rapporto previsto dall’articolo 126.3 del Trattato sul debito italiano, chiaramente fuori dai parametri di Maastricht visto che veleggia intorno al 133% del Pil. In Commissione le colombe vorrebbero rinviare tutto per un paio di mesi, ma al momento sembra difficile visto che le regole imponevano la stesura della relazione su Roma già lo scorso novembre e molti governi del Nord sono stufi di vedere l’Italia trattata con i guanti bianchi. Ma il presidente Juncker e il responsabile agli Affari economici, Perre Moscovici, vogliono aiutare il premier Gentiloni e il ministro Padoan a incassare un giudizio positivo. Per questo dietro le quinte chiedono che l’Italia approvi subito, entro il 22, un pezzo della manovra promessa entro il Def di aprile. Un gesto di buona volontà che dimostrerebbe la credibilità del governo. Altrimenti sarà dura contenere i falchi, e il rapporto del 22 febbraio sarà negativo.
Al Tesoro lo sanno, ma dubitano di riuscire a convincere l’asse Renzi- Gentiloni ad agire subito. Se ce la facessero il rapporto della Ue sarebbe una promozione. Ma visto che tra Bruxelles e Berlino non si fidano più dell’Italia e sono consapevoli che il rischio elezioni anticipate continua ad incombere (in quel caso il governo non farebbe alcuna correzione dei conti e romperebbe con l’Europa), anche in caso di disco verde la Commissione prevederebbe un meccanismo per mettere pressione al governo e accertarsi che Roma completi le misure promesse. Un monitoraggio per almeno un paio di mesi, fino alla fine di aprile, data limite concessa a Padoan per portare a casa la correzione strutturale del deficit chiamata a rimettere in carreggiata il debito. Stesso meccanismo potrebbe essere deciso dai ministri dell’Ecofin, che potrebbero tenere il dossier fermo fino a quattro mesi, tempo massimo previsto dalle regole per ratificare il via libera della Commissione.
Ma c’è anche lo scenario B, che l’Italia non faccia nemmeno un pezzo di manovra entro 10 giorni e le colombe Juncker e Moscovici non riescano a tenere a bada gli aggressivi vicepresidenti Dombrovskis e Katainen. A quel punto il rapporto sarebbe negativo e per l’Italia inizierebbe una nuova, pericolosa, fase. Si entrerebbe nell’articolo 126.4 e la palla andrebbe agli sherpa dei ministri delle Finanze (Efc) – arena tutt’altro che morbida – che entro due settimane si dovrebbero esprimere sul dossier. Toccherebbe quindi di nuovo alla Commissione esprimersi (126.5), scegliendo se raccomandare o meno la procedura di infrazione al Consiglio, ovvero ai ministri delle Finanze dei Ventotto che dovrebbero formalizzarne l’avvio. Anche in questo caso l’Europa potrebbe stirare al massimo i tempi per mettere alla prova l’Italia, per farla sentire sotto pressione e sperare che prenda le misure richieste entro aprile. Ma il rischio che qualcosa vada storto e scivolare in procedura sarebbe altissimo. E al netto delle sanzioni, lontane nel tempo, Roma perderebbe parte di sovranità economica e credibilità sui mercati, con il rischio spread.