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Come l’intelligenza artificiale fa riemergere antibiotici estinti

Ago 5, 2023

AGI – Attraverso l’intelligenza artificiale sono state riportate in vita le molecole di proteine prodotte, da ominidi dei tempi di Neanderthal, estinte. Lo dimostra lo studio dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia, pubblicato su Cell Host & Microbe. I ricercatori hanno applicato metodi computazionali ai dati sulle proteine sia degli esseri umani moderni, ovvero Homo sapiens, sia dei nostri parenti estinti da tempo, come l’Homo di Denisova

Questo ha permesso agli scienziati di identificare molecole in grado di uccidere i batteri che causano malattie, che potrebbero ispirare nuovi farmaci per il trattamento delle infezioni umane. “Siamo motivati dall’idea di riportare in vita le molecole del passato per affrontare i problemi di oggi”, ha detto Cesar de la Fuente, coautore dello studio e bioingegnere presso l’Università della Pennsylvania a Philadelphia.

Lo sviluppo degli antibiotici ha subito un rallentamento negli ultimi decenni e la maggior parte di quelli prescritti oggi è in commercio da più di 30 anni, mentre, il numero dei batteri resistenti agli antibiotici è in aumento. Molti organismi producono brevi subunità proteiche, chiamate peptidi, che hanno proprietà antimicrobiche. Una manciata di peptidi antimicrobici, la maggior parte dei quali sono stati isolati da batteri, sono già in uso clinico.

Gli scenari futuri

Le proteine delle specie estinte potrebbero essere una risorsa non sfruttata per lo sviluppo di antibiotici. A tal proposito, il gruppo di ricerca ha addestrato un algoritmo di intelligenza artificiale a riconoscere i siti delle proteine umane in cui sono note per essere tagliate in peptidi.

Per trovare nuovi peptidi, la squadra di scienziati ha applicato l’algoritmo alle sequenze proteiche disponibili pubblicamente, ovvero mappe degli aminoacidi di una proteina di H. sapiens, H. neanderthalensis e Denisovans e ha poi utilizzato le proprietà dei peptidi antimicrobici per prevedere quali di questi nuovi peptidi potrebbero uccidere i batteri.

“Trovare e testare candidati farmaci utilizzando l’IA richiede poche settimane; al contrario, con i vecchi metodi ci vogliono da tre a sei anni per scoprire un singolo nuovo antibiotico”, ha affermato de la Fuente. I ricercatori hanno testato decine di peptidi per vedere se erano in grado di uccidere i batteri in laboratorio e hanno, poi, selezionato sei potenti peptidi, quattro provenienti da H. sapiens, uno da H. neanderthalensis e uno da H.Denisovans, e li hanno somministrati a topi infettati dal batterio Acinetobacter baumannii, che causa comuni infezioni ospedaliere nell’uomo.

Tutti e sei i peptidi hanno bloccato la crescita di A. baumannii nel muscolo della coscia, ma nessuno ha ucciso i batteri. Cinque delle molecole hanno ucciso i batteri che crescevano negli ascessi cutanei. “Le dosi utilizzate erano estremamente elevate”, ha spiegato Nathanael Gray, biologo chimico della Stanford University in California.

Secondo de la Fuente, modificando le molecole di maggior successo si potrebbero creare versioni più efficaci. Allo stesso modo, ritoccando l’algoritmo si potrebbe migliorare l’identificazione dei peptidi antimicrobici, con un minor numero di falsi positivi. “Anche se l’algoritmo che abbiamo usato non ha prodotto molecole straordinarie, credo che il concetto e la struttura rappresentino una strada completamente nuova per pensare alla scoperta di farmaci”, ha dicchiarato de la Fuente.

“L’idea di fondo è interessante”, ha affermato Gray. “Ma finché l’algoritmo non sarà in grado di prevedere peptidi clinicamente rilevanti con un grado di successo superiore a quello attuale, aver rinvenuto queste molecole non avrà un grande impatto sulla scoperta dei farmaci”, ha proseguito Gray.

Sono entusiasta di vedere un nuovo approccio in un campo poco studiato come quello dello sviluppo di antibiotici”, ha dichiarato Euan Ashley, esperto di genomica e di salute di precisione presso la Stanford University in California. “De la Fuente e i suoi colleghi mi hanno convinto che immergersi nello studio del genoma umano arcaico può essere interessante e potenzialmente utile”, ha concluso Ashley.  

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