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L’inflazione ‘brucia’ 164 miliardi di risparmi delle famiglie 

Feb 25, 2023

AGI – Le famiglie italiane, per fronteggiare l’inflazione record, metteranno mano ai risparmi e i depositi subiranno una “sforbiciata” di 163,8 miliardi di euro nel biennio 2022-2023. E’ quanto emerge da un’elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia che ipotizza che i 1.152 miliardi di euro presenti nei conti correnti bancari non registrino alcuna variazione nell’arco temporale preso in considerazione, e che prevede che nel biennio l’inflazione crescerà di quasi il 15 per cento (+8,1 l’anno scorso e +6,1 quest’anno). Una sorta di “patrimoniale” da quasi 164 miliardi di euro che a ogni singolo nucleo familiare “costerà” mediamente 6.338 euro.

A livello territoriale, nel biennio 2022-2023 il costo più salato lo soffriranno le famiglie delle regioni più ricche: in Trentino Alto Adige la perdita di potere di acquisto medio sarà pari a 9.471 euro, in Lombardia di 7.533, in Emilia Romagna di 7.261 e in Veneto di 7.253. A livello provinciale, invece, saranno colpite, in particolar modo, le famiglie residenti a Bolzano, che subiranno un prelievo medio di 10.542 euro. Seguono Milano con 8.500, Trento con 8.461, Lecco con 8.201 e Treviso con 7.948. Le famiglie meno “colpite”, invece, saranno quelle in provincia di Siracusa con 3.842 euro, Trapani con 3.595 e Crotone con 3.130. 

A distanza di oltre 30 anni, molti ricordano ancora con grande sdegno il prelievo straordinario del 6 per mille applicato dall’allora Governo Amato sui conti correnti degli italiani. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, infatti, quella misura costò alle famiglie italiane 5.250 miliardi di lire, ovvero 2,7 miliardi di euro. Attualizzando questo importo, il prelievo si attesta a 5,3 miliardi di euro; praticamente un “sacrificio” economico 31 volte inferiore a quello stimato dall’Ufficio studi della Cgia (163,8 miliardi di euro) nel biennio 2022-2023. Secondo l’associazione degli artigiani, ora le banche devono alzare gli interessi sui depositi.

Se 14 anni fa il tasso attivo era dello 0,75 per cento, 2 mesi fa si è attestato allo 0,12 per cento, “provocando” uno svantaggio per il risparmiatore dello 0,63 per cento. In altre parole, a fronte di 10 mila euro depositati nel conto corrente, rispetto al 2009 ci troviamo con 63 euro in meno in un anno.

Se, come sostengono molti esperti, entro la fine del 2023 il tasso salisse al 4 per cento, raggiungendo lo stesso livello toccato tra il luglio 2007 e il giugno 2008, sui nostri ipotetici 10 mila euro depositati in banca perderemmo 107 euro. Non si tratta di cifre importanti, tuttavia, osserva la Cgia, se le banche tornassero a riconoscere un leggero aumento dei tassi attivi sulle somme libere depositate nei conti correnti, la clientela potrebbe almeno coprire i costi fissi.

Cosa, invece, che è stata praticata dagli istituti sulle somme vincolate, anche se, molto spesso, per tantissimi correntisti districarsi tra un “mare” di offerte è estremamente difficile. Uno sforzo economico, quello che dovrebbero sostenere le banche se ritoccassero all’insù i tassi sui risparmi non vincolati, tranquillamente sostenibile, visto che nell’ultimo anno le cose sono andate molto bene. 

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