AGI – Google, controllata di Alphabet, dovrà pagare una multa di 60 milioni di dollari, 42,7 milioni di dollari australiani, per aver “rilasciato dichiarazioni ingannevoli ai consumatori sulla raccolta e l’uso dei loro dati di posizione personali sui telefoni Android tra gennaio 2017 e dicembre 2018“. A deciderlo la Corte federale australiana a seguito di un procedimento avviato contro Google dall’Australian Competition & Consumer Commission (la Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori, anche ACCC) nell’ottobre 2019.
Nonostante la cronologia delle posizioni fosse disattivata, Google ha raccolto ugualmente i dati di geolocalizzazione degli utenti (la stima è di 1,3 milioni di account coinvolti), indirizzando loro di conseguenza annunci ad hoc e personalizzati. La società accettato la proposta di pagamento.
La società sta affrontando un’indagine, avviata a febbraio 2020, sulle stesse pratiche anche in Europa, dove potrebbe essere esposta a una multa più consistente se si scopre che ha violato il regolamento generale sulla protezione dei dati (le sanzioni possono arrivare fino al 4% del fatturato annuo globale).
Non solo. All’inizio di quest’estate, alcuni gruppi europei per i diritti dei consumatori hanno presentato una nuova serie di denunce contro Google, accusando il gigante della pubblicità di design ingannevole, tale che spingerebbe gli utenti ad accettare un’elaborazione estesa e invasiva dei loro dati. Sull’attività di Google si staglia anche il Digital Service Act, che intende aumentare la responsabilità delle Big Tech, con multe ancora più salate (fino al 6% del fatturato annuo).
In Australia, l’azienda di Mountain View è stata accusata di aver fornito informazioni scorrette e parziali agli utenti, affermando che l’unica impostazione con cui l’azienda raccoglie i dati sulla geolocalizzazione è la Cronologia delle posizioni. Esiste però un’altra impostazione (attività web e app) che permette a Google di ottenere dati sulla posizione di ciascun utente. E si tratta per di più di un’impostazione attivata di default.
Secondo l’Australian Competition & Consumer Commission Google avrebbe indotto gli utenti a credere che l’impostazione della “cronologia delle posizioni” sui loro telefoni Android fosse l’unico modo in cui i dati sulla posizione potevano essere raccolti da esso, quando una funzione per monitorare l’attività web e delle applicazioni consentiva anche la raccolta e l’archiviazione di dati locali.
Secondo l’autorità di regolamentazione, dal 2018 in avanti Google ha modificato le modalità di raccolta dei dati adeguandosi alla normativa australiana e rendendo più semplice ed intuitiva l’impostazione sullo smartphone.
“Questa significativa sanzione inflitta oggi dalla Corte invia un forte messaggio alle piattaforme digitali e ad altre imprese, grandi e piccole, che non devono fuorviare i consumatori su come vengono raccolti e utilizzati i loro dati”, ha dichiarato Gina Cass-Gottlieb, presidente dell’ACCC.
“Possiamo confermare che abbiamo concordato di risolvere la questione relativa alla condotta storica dal 2017 al 2018 – ha dichiarato un portavoce di Google a TechCrunch – abbiamo investito molto nel rendere le informazioni sulla posizione semplici da gestire e da comprendere con strumenti leader del settore come i controlli di eliminazione automatica, riducendo al minimo in modo significativo la quantità di dati archiviati. Come abbiamo dimostrato, ci impegniamo a fare aggiornamenti continui che diano agli utenti controllo e trasparenza, fornendo al contempo i prodotti più utili possibili”.