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Stop motori termici, le associazioni dicono no: l’allarme

Giu 29, 2022

Lo stop definitivo alla produzione e vendita delle auto a motore endotermico dal 2035 crea il caos e solleva un polverone da parte delle associazioni, che ancora una volta tornano a parlare col governo per cercare di mediare su una decisione che presto potrebbe rivelarsi drammatica. La misura, scelta per cercare di contrastare in maniera diretta gli effetti sul cambiamento climatico, non lascia contenti gli addetti ai lavori che provano in qualche modo a fare cambiare idea all’esecutivo.

La protesta delle associazioni

Nella notte tra martedì 28 e mercoledì 29 giugno è arrivata la decisione da Bruxelles, da parte del Consiglio Ambiente dell’Unione Europea, sulla posizione da tenere durante le trattative che si svolgeranno in Parlamento e in Commissione Ue relativamente allo stop dei motori a benzina e diesel entro il 2035. Dalle aule è arrivata la decisione di proseguire il cammino verso il divieto assoluto di produzione di auto con motori a benzina o diesel entro l’anno concordato, ennesima scelta che non fa piacere alle associazioni che hanno tentato di farsi sentire con l’esecutivo presieduto dal premier Mario Draghi.

In una lunga lettera destinata al presidente del Consiglio e ai ministri della Transizione ecologica,e dello Sviluppo economico, Roberto Cingolani e Giancarlo Giorgetti, le associazioni Assogasmetano, Assopetroli-Assoenergia e Federmetano hanno infatti sottolineato gli effetti catastrofici che questa scelta potrà avere nel nostro Paese. L’allarme, lanciato più volte nel corso degli ultimi mesi, non può più essere ignorato per il bene del sistema economico, industriale e occupazionale dell’Italia e si inserisce nel tentativo di collaborazione del nostro governo di fare fronte comune con altri Paesi per rinviare la decisione.

Le associazioni, infatti, denunciano che la messa al bando del motore endotermico al 2035 potrà avere ripercussioni drammatiche sul sistema del Bel Paese. Tra i punti che accendono la protesta, su tutti, c’è l’analisi dettagliata di ciò che potrebbe accadere ai lavoratori delle imprese. Nella nota, infatti, si legge che una delle conseguenze potrebbe essere quella di un taglio di oltre 100.000 posti di lavoro in Italia, di cui 73.000 nel solo settore automotive al 2040, dei quali 67.000 già nel periodo 2025-2030.

Le conseguenze dello stop nel sistema Italia

La protesta delle associazioni non si ferma qui. Nella lunga lettera inviata al presidente Draghi e ai ministri Cingolani e Giorgetti, vengono infatti sottolineati ulteriori danni che la decisione del Consiglio Ue potrà avere sull’intero sistema produttivo. La misura non terrebbe conto di tutti quei programmi e investimenti che le imprese della distribuzione stanno portando avanti per contribuire in modo concreto e immediato alla lotta ai cambiamenti climatici. Le associazioni denunciano che con lo stop al 2035 andrebbero persi tutti i progressi fatti per l’abbattimento delle emissioni di CO2 ottenibile con l’uso di combustibili rinnovabili low-carbon e carbon-negative, cercando quindi di convincere l’esecutivo ad adottare la posizione drastica della Germania sulla questione.

Inoltre tanta è la preoccupazione per una mancata diversificazione del rischio. Scegliendo di dare lo stop definitivo ai motori a benzina e diesel entro il 2035, gli addetti ai lavori sostengono che la mobilità del futuro sarebbe consegnata nelle mani di una sola tecnologia come l’elettrico, che al momento non sarebbe in grado di sostenere l’intero sistema. Quello che alle associazioni preme far notare è infatti la posizione non ancora “matura” di questa tecnologia, con conseguenti incertezze per il futuro.

Passare dalla benzina e diesel all’elettrico, infine, comporterebbe anche ridisegnare l’intero sistema di acquisto delle materie prime, creando nuovi affari che darebbero vantaggi a Paesi al di fuori dell’Unione Europea. Assogasmetano, Assopetroli-Assoenergia e Federmetano, nella nota congiunta al governo, hanno mostrato quindi la loro preoccupazione per l’esposizione a una futura dipendenza da materie prime e tecnologie che arrivano dal mercato asiatico.

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