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Ristoranti & Co., nuove chiusure per Natale: “Ci staccano la spina”

Dic 15, 2020

MILANO – Una zona arancione tra la vigilia di Natale e Santo Stefano, tra San Silvestro e Capodanno, nei pressi dell’Epifania; o peggio ancora un lockdown da zona rossa esteso a tutta la penisola, come se fossimo di nuovo a marzo. In ogni caso, tra oggi e domani tornerà la stretta sulle attività di ristorazione. Il governo è ancora alle limature sulle misure per le festività che servono a scongiurare la terza ondata di contagi, sulla falsariga di quanto disposto dalla Germania, l’Olanda e il Regno Unito o lo Stato di New York. Il Comitato tecnico scientifico spinge per una linea dura che contenga al più possibile i rischi: signifcherebbe saracinesche abbassate su tutte le attività tranne quelle essenziali. Ci sono allo studio compromessi più morbidi, per tenere negozi aperti e consentire la micromobilità. Quel che nessuno pare mettere in discussione è che ristoranti, bar e affini dovranno restare off-limit per chi cerca un pranzo o un cenone gourmet o semplicemente un brindisi.

Porte girevoli, dunque, per i 94 mila bar, pizzerie, agriturismi e ristoranti censiti dalla Coldiretti che soltanto domenica 13 avevano festeggiato il passaggio in zona gialla e la riapertura in Lombardia, Piemonte, Calabria e Basilicata per affiancarsi a quelli Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Puglia, Umbria, Sicilia, Liguria, Lazio, Molise, Sardegna, Veneto e Provincia di Trento. Un cambio di colore che aveva consentito il riavvio delle attività di ristorazione tra le 5 e le 18, con asporto fino alle 22. Clima ben diverso rispetto a quello delle zone critiche (arancioni), dove è possibile la sola consegna a domicilio o l’asporto fino alle 22. Limiti che ancora costringevano a rimanere chiuso più di un locale su cinque (il 22%) tra bar, pasticcerie, ristoranti, pizzerie e agriturismi per un totale di quasi 79mila locali situati in Campania, Toscana, Abruzzo, Valle d’Aosta e Provincia di Bolzano.

“Il nostro settore da nove mesi è in terapia intensiva, al posto di darci l’ossigeno ci staccano la spina”, dice sconsolato Aldo Cursano, ristoratore con tre attività a Firenze e vice presidente Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi. Le scene delle folle nelle grandi città sono state decisive? “Su 6 milioni e mezzo di controlli, soltanto lo 0,18% degli esercizi ha subito sanzioni per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza sanitaria: le nostre imprese sono luoghi sicuri. Eppure continuiamo a esser oggetto di uno scarico di responsabilità”. Cursano manda a mente i numeri: “Per i pubblici esercizi della ristorazione, il mese di dicembre vale 7,9 miliardi. Il solo pranzo di Natale vale 720 milioni. Da inizio anno abbiamo perso oltre 33 miliardi. Come faremo ad affrontare il mondo bancario, che rating verrà dato alle nostre società?”, si domanda.

“Siamo pronti ad accogliere i clienti solo su prenotazone, a distanziare ulteriormente i tavoli…tutto pur di lavorare”, l’appello lanciato da Lino Stoppani, vicepresidente vicario di Confcommercio e rappresentante dei 9 mila pubblici esercizi di Milano, intervistato sulle colonne locali di Repubblica. “Le nostre imprese non sono macchine che si spengono così, girando una chiave”, l’aggiunta. Una decisione per la chiusura con scarso preavviso rischia letteralmente di far marcire le scorte che nel frattempo ristoranti&Co. hanno programmato. Un ulteriore danno economico e ambientale che si sommerebbe al peso della serrata forzata, in cambio della quale – se così sarà – Stoppani chiede provvedimenti di natura economica.

A fare i conti in tasca al settore ci ha pensato la Coldiretti, che proprio mentre il governo studia le chiusure tiene la sua Assemblea nazionale. Per l’associazione la prospettiva di un “Natale magro” porta a oltre 30 miliardi il conto della contrazione della spesa alimentare degli italiani nel corso del 2020, con un crollo del 12% rispetto all’anno passato. Se da una parte la spesa domestica è salita del 7% perché ci siamo tutti inventati pizzaioli e chef tra le mura di casa, non è bastato a contrastare il dimezzamento di fatto (-48%) del volume d’affari presso la ristorazione. “I prodotti tradizionalmente consumati nei ristoranti, nelle pizzerie e via dicendo sono medi e alti di gamma: prosciutti e salumi di eccellenza, vini di alta gamma, formaggi e olii di qualità. Le chiusure diventano un problema per la nostra filiera di maggiore qualità”, spiega il responsabile economico della Coldiretti, Lorenzo Bazzana.

“A questo si aggiunge il congelamento dell’export: stiamo registrando i nostri stessi problemi in Germania, Francia, Gran Bretagna che sono mercati di sbocco importantissimi per la nostra filiera”, rimarca. Senza contare che la versione ristretta di pranzi e cenoni comporterà un taglio anche sulla spesa per le feste ‘domestiche’: Coldiretti calcola che il menu di Natale verrà tagliato di un terzo per una spesa media ferma a 82 euro, minimi da almeno un decennio.

I limiti agli spostamenti fanno paura, invece, alle oltre 24mila strutture agrituristiche nazionali, che vivono degli arrivi dai grandi centri urbani nei contesti rurali. Elisabetta Montesissa, direttore di Terranostra, dice che “la decisione di blindare nel proprio comune gli italiani rappresenta un ko per aziende che hanno già avuto un miliardo di perdite con la pandemia, i tre quarti del fatturato. E non dimentichiamoci che abbiamo perso del tutto gli stranieri, che rappresentano il 58% degli alloggi di vacanza. Una nuova chiusura nei comuni mette veramente al tappeto le nostre aziende, che per definizione stanno in campagna”. E sui ‘furbetti degli agriturismi e alberghi’, pronti a prenotare le strutture per il Veglione e farvi confluire tutta la famiglia? “Posso assicurare che i nostri agriturismi non hanno nulla a che fare con questo tipo di attività. In campagna i contagi per Covid sono stati solo lo 0,3% e il vademecum sulla sicurezza è stato applicato per garantire i clienti. Ci sono stati investimenti, impegno e aperture solo laddove la legge lo consentisse cercando di sopperire con le consegne a domicilio. Almeno queste attività speriamo possano continuare nel periodo delle feste”.

Alla luce di questi timori, saranno necessari nuovi ristori? “Se saranno due settimane di chiusura, le più ‘calde’ dell’anno per i fatturati di queste attività, credo che sia necessario pensare a dei ristori. Ed è fondamentale pensarli per tutta la filiera, non solo per la parte terminale”, chiosa Bazzana.

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