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L’imprenditrice più vicina a Landini che al Nord-Est: “Se il lockdown andrà avanti settimane, in pochi resisteranno”

Mar 29, 2020

Il maniglione all’ingresso dell’Empire State Building a New York viene da Tezze sul Brenta, nel Nordest d’Italia, a 25 chilometri da Vicenza. Da una fabbrica nata nel 1973, la Pba, all’epoca della grande crisi petrolifera. Francesca Masiero aveva un anno, e suo padre Luciano depositava il primo brevetto: i limitatori di apertura per le finestre. Quando il papà è mancato nel 2014, la figlia, che lavorava con lui dal 2001, ha preso il comando dell’azienda. Oggi è presidente e amministratore delegato della società. Pba produce e commercializza in tutto il mondo accessori per serramenti, maniglie, maniglioni con serratura, corrimano per grandi edifici, accessori per attrezzare i bagni di ospedali e di residenze assistenziali, ausili per eliminare le barriere architettoniche. Nel 2019 ha fatturato 18 milioni di euro. L’85 per cento dei ricavi viene dall’estero e il 50 per cento dagli Usa e dalla Germania.

A metà febbraio scorso, in tempi non sospetti, quando l’emergenza del Coronavirus non era ancora esplosa nel paese, l’imprenditrice si è affrettata a comprare mascherine FFP3 per i suoi 120 dipendenti e li ha obbligati a indossarle. “Li ho terrorizzati. Gli ho detto scordatevi che qualsiasi cosa sia successo in Cina non possa capitare anche qui”. E si è raccomandata di tenere le distanze, ha chiuso la mensa, ha scaglionato entrate e uscite. “Navigavamo a vista, pensavo che fosse meglio esagerare con le precauzioni contro questo nemico sconosciuto. E devo dire che sono stati felicissimi. Non abbiamo avuto fino adesso casi di Covid 19”. Di più: ha comunicato pubblicamente di voler fare il tampone ai suoi dipendenti, e pagarlo di tasca propria. “Non me li hanno dati; figuriamoci, non li fanno neppure al personale medico”.

Francesca Masiero, 48 anni, ospite un paio di settimane fa della trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber, dopo una lettera inviata a Carlo Verdelli, direttore di Repubblica, e pubblicata, ha spiegato che per lei fare l’imprenditrice significa prima di tutto proteggere i lavoratori, pagare regolarmente stipendi adeguati e avere un’azienda sana oggi, domani e dopodomani.


L’allarme Coronavirus l’aveva captato già alla fine di gennaio. “L’emergenza poteva essere intercettata. Occorre fare un passo indietro sulla realtà per capire ciò che sta succedendo, e soprattutto un imprenditore deve lavorare ex ante, non ex post. Dopo la chiusura di Wuhan in Cina, alcuni nostri importanti clienti americani, aziende che fatturano 30, 40 miliardi di dollari, mi hanno chiamato per dirmi se saremmo stati in grado di subentrare ai cinesi per diventare loro fornitori. Chiedevano di pagare 10 quello che fino ad allora avevano pagato uno, perché noi costiamo moltissimo. Mi sono subito insospettita, ho pensato: c’è qualcosa che non funziona. Ho chiamato qualche amico ma non avevano il sentore del pericolo”.

La sua giornata inizia presto. Da alcuni giorni tutta l’azienda lavora in smart working. “Alle 9 ho già sentito la mia ceo, il responsabile della progettazione e preparato la lezione per l’università”. È anche professore a contratto alla facoltà di Economia dell’ateneo di Bergamo per un corso di Filantropia strategica, “filantropia come asset di sviluppo economico e sociale. Le donazioni diventano investimenti. Ho iniziato molti mesi fa, mi ha chiamato la professoressa Giovanna Dossena per dare ai ragazzi un’angolazione diversa, da imprenditrice filosofa che utilizza le parole con un altro sguardo. Purtroppo fare lezioni a distanza diventa difficile tenendo conto che questi ragazzi sono in trincea e abitano nei posti più colpiti e non ci si può permettere di fermarsi alla teoria. L’inaudito è anche ineffabile: come fai a spiegare quello che non hai ancora capito? Due mesi fa parlavamo delle liti tra Renzi e Salvini, della prescrizione, argomenti per cui era possibile che cadesse il governo. Ora siamo al diluvio universale. Per la verità c’erano anche prima i presupposti: una società che accetta la strage in mare di tanti poveri cristi, forse non ha più titolo per andare avanti. Ci voleva uno choc morale”.

Imprenditrice laureata in Filosofia alla Cattolica di Milano, “scelta per amore totale, senza grandi progetti in lontananza”, e passione rimasta così forte che talvolta nel corso di un colloquio per un’assunzione chiede: le piace Spinoza? Il suo sguardo originale dipende anche dal fatto che prima di entrare in azienda è passata per uno stage in giornalismo, lo teneva Federico Rampini nella sede milanese di Repubblica. È anche sbarcata come volontaria al carcere di San Vittore, direttore era Luigi Pagano, “per vedere cosa succedeva in qualcosa di completamente diverso da me. Ho lavorato con altri sulla legge per togliere i bambini dal carcere”. Grazie a un master in tecnica di scrittura, sempre alla Cattolica, si è dedicata per un anno e mezzo alla Lux Vide di Bernabei per poter scrivere, invece delle cose reali quelle di fantasia tipo la serie ‘Don Matteo’.

È poi avvenuto un evento molto traumatico nella sua vita. Ed è tornata a casa. “Sebbene mio padre mi abbia sempre lasciata libera, era l’anti-padrone, mi sono decisa a entrare in azienda. Sono figlia unica. Con lui c’erano due soci, un fratello e un cognato; abbiamo liquidato il 63 per cento della società, non è stato uno scherzo, siamo ricorsi alle banche e al private equity. Profumo ci ha dato i soldi e li abbiamo restituiti in due anni invece che cinque. Siamo andati avanti insieme. La malattia di mio padre è stata abbastanza impegnativa e dolorosa, e soprattutto nell’area tecnica si è sentita la mancanza della sua figura così carismatica. Ho guardato quello che potevo fare io e cercato di sviluppare i miei talenti. Ho creato un fortissimo ufficio commerciale. Senza inventare nulla: tutt’oggi occorre solo recepire quello che serve e realizzarlo in maniera eccellente”.

L’imprenditrice può contare su uno staff di valore, in prevalenza composto da donne, che a parte alcune eccezioni comprende tutte persone nate con l’azienda. Particolare di fondamentale importanza. Come il direttore finanziario, la cfo Rosanna Bizzotto; il responsabile di stabilimento, Luigino Toniolo, “persona eccezionale, in azienda da 42 anni e ne ha 58”; la manager che viene dall’esterno, per la prima volta nella storia della Pba, la coo Erica Anesi, ingegnere, direttore operativo. “Sembra che sia qui da 40 anni. Negli Stati Uniti agisce come un direttore generale, è qui ma va laggiù una settimana al mese. E tutte le altre persone, completamente dedicate in un modo direi commovente”.

Cita Emanuele Severino, dal suo libro ‘Testimoniando il destino’, “‘non basta possedere un campo bisogna coltivarlo’. Sintetico ma rende l’idea. Abbiamo avuto la fortuna immensa di averlo, sta a noi coltivarlo, ma per questo dobbiamo metterci in ascolto. Così come abbiamo visto lungo e ci siamo dotati di mascherine, dobbiamo guardare i talenti delle persone e capire. Noi in Pba cerchiamo di andare con chi ci somiglia. Qualche cliente lo abbandoni anche; ai miei dico: se qualcuno vi manca di rispetto mettete giù il telefono”.

Non ha grande feeling con i suoi colleghi imprenditori. “Io abito a Bassano del Grappa, non sono una che fa vita associativa, non ho dialogo con gli industriali del Nordest. Certo, c’è stato un cambio generazionale. Penso che abbiano fatto scelte che non condivido. Preferisco Landini, il segretario della Cgil: il suo è l’unico modello di sviluppo sostenibile. Non condivido andare a fare fabbrica in Cina, aver dato la catena del valore a persone che non possiamo intercettare, con una mentalità così diversa dalla nostra. Nel 2001 sono andata con mio padre a Shenzhen a dare un’occhiata. Dovevamo rimanere quattro giorni e invece dopo mezza giornata abbiamo deciso di tornare indietro. È un mondo talmente differente, basta vedere quei bambini che lavorano 12 ore al giorno. Lì non ci sono diritti per i lavoratori, e i diritti non si possono esportare. Non è il modo in cui mi piace fare impresa”.

La chiave di volta che ha permesso alla Pba di nascere sono state le invenzioni del patron Luciano Masiero negli anni Settanta, quando il petrolio costava moltissimo, e si ricorreva ai doppi vetri alle finestre per risparmiare sul riscaldamento. “Mio padre era energia pura, un talento tecnico oltreché il migliore amico possibile”. Si era iscritto ad architettura ma non completò gli studi e si gettò nel lavoro. Era figlio di un fattore, sette fratelli, tutti sono riusciti a studiare. “Ogni prodotto ha un inizio e una fine di profittabilità. Si è spostato verso il design, creando quei maniglioni di resina neri, gialli e rossi, come Benetton ha inventato il pullover a colori, noi il famoso 308 nero. Abbiamo messo basi solide, fatto molta cassa e con quella l’azienda ha potuto crescere e svilupparsi”.

Tecnica e design, anima innovativa e molti brevetti. La Pba di Francesca Masiero lavora con grandi studi professionali, di quelli che progettano e realizzano le città, e chiedono di far crescere insieme le idee. “Noi siamo con loro per costruire il nuovo, non semplici fornitori ma come partner in questo modello di percorso. Negli Stati Uniti c’è l’ambiente in cui è possibile fare questi ragionamenti, non badano al prezzo ma alla qualità del servizio e del prodotto”.

Nel cuore di New York, nel quartiere Industry city a Brooklyn, c’è la sede di Pba Usa, una controllata del gruppo per il mercato americano, che cresce a doppia cifra, con uno show room e uno spazio pensato anche per ospitare architetti e designer. L’emergenza tuttavia ha messo in moto altre idee, possibili nuove realizzazioni. “Ho parlato con il direttore di progettazione: questa crisi ci sprona ad andare oltre il nostro abituale campo di azione; il ragionamento tende ad ampliare il sostegno al settore medicale, visto che abbiamo il know how, per esempio con le valvole per i respiratori. Bisogna certificarsi. Non possiamo fare mascherine perché penso ci vogliano camere sterili. Va bene l’emergenza ma in gioco c’è la nostra credibilità”.

In questi giorni sono già partite dalla Pba richieste per tre nuovi brevetti. “Dall’inizio dell’anno stavamo facendo più 46 per cento, con un portafoglio ordini fittissimo. Diciamo che se chiudono tutti, prendiamo un po’ fiato dal punto di vista dell’emergenza, ma oltre un certo limite non si può andare. Il Canada chiude per tre settimane, gli Usa sono in ginocchio”. Pba da sempre, anche durante la crisi economica iniziata nel 2007, con calo di fatturato, ha avuto un ebitda intorno al 25, 26 per cento, “genera moltissima cassa e ha liquidità che permette di guardare da qui a un anno. Non è lo stesso per moltissime aziende. Se il lockdown andrà avanti per settimane conteremo quanti riusciranno a resistere. C’è tutta una catena di fornitori che deve rimanere produttiva. Non credo che solo con gli strumenti di assistenza si possa risolvere. Per lo Stato dovrebbe essere più semplice coinvolgere le aziende che hanno tecnologia nelle necessità reali del paese. Dovrebbe chiedere quello di cui ha bisogno, farle lavorare e non fermarle. E dare qualche incentivo a chi continua a produrre. Poi, sono una persona pratica. Non dico una patrimoniale in questo momento, ma se uno ha molti immobili affittati e non ha grandissima necessità di riscuotere, potrebbe concedere una tregua all’inquilino. Se lo lascia respirare in questi mesi, darà appena può”.

Come sportiva Francesca Masiero ha aperto una palestra, vicino all’azienda, che ha dato in gestione, con la possibilità per chi vuole tra i lavoratori della Pba di utilizzarla. Per mantenere stretto il suo fil-rouge con la cultura, è entrata come socia nella casa editrice ‘La nave di Teseo’, fa parte del cda. “Ho messo insieme la mia passione e la possibilità di riequilibrare una situazione che poteva scappare di mano. Quella di mia madre Andrea, che dopo la morte di mio padre con il quale aveva un rapporto simbiotico, si è ritrovata sola. E siccome è una lettrice famelica e il suo unico interessa è la cultura, le è servito molto. Elisabetta Sgarbi è un editore eccezionale, e l’idea di poter pubblicare i libri di Umberto Eco, Furio Colombo, Natalia Aspesi è fantastica”.

I suoi collaboratori sono anche i suoi amici. “Facciamo insieme qualche vacanza, è tutto molto aperto. In Puglia, che è bellissima, a Borgo Egnazia, o a Ortisei”. Suo padre le aveva lasciato in eredità una barca importante, ormeggiata al porto Carlo Riva di Rapallo, vicino a quelle di Berlusconi e di altri vip. Nel novembre del 2018, durante quella terribile tempesta, ‘Orizzonte’ è affondata. “Abbiamo avuto almeno la soddisfazione di essere riconosciuti come gli unici ad avere una barca intestata a noi stessi”.

Rimpianti per quello che non è riuscita a realizzare? “Prima di queste settimane drammatiche che stiamo vivendo avrei detto di no. Tutto quello che mi piaceva ho provato a prendermelo, vado in cerca che le cose che mi piacciono. In questo momento, invece, penso che bisognerebbe mettersi in gioco per allargare i punti di vista e porre basi diverse per un dialogo capace di cambiare le cose. Abbiamo un capitalismo malato e, forse, visto anche tutte le tantissime email che mi sono arrivate dopo la mia presenza in tv, c’è un sacco di gente che vorrebbe essere ascoltata. Ho risposto a ognuno, e ho incontrato tanta parte di quella middle class che non è sparita ma ha bisogno di essere rappresentata, ha energia da spendere e vorrebbe punti di riferimento che parlano chiaro e costruiscono un mondo diverso. Eravamo andati davvero alla deriva. Impareremo? La storia dell’uomo ci insegna di no. Dopo l’olocausto c’è ancora gente che insulta gli ebrei. La realtà mi dice che non tutti capiscono gli eventi. Ma dobbiamo confrontarci con quelli che ci riescono, fare argine, tutti insieme. Credendoci”.

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