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Violenza sulle donne, la rivincita di Alla: “Io, massacrata di botte, ora aiuto le altre vittime”

Nov 23, 2019

BOLOGNA – “Mi stava ammazzando di botte, l’ho supplicato di poter chiamare i miei figli per salutarli per l’ultima volta e lui me l’ha impedito. È stato a quel punto, con quell’unico pensiero nel cervello, che ho deciso che dovevo vivere”. Alla, donna di origini russe, ha conosciuto la violenza fisica, psicologica, economica: le botte, le umiliazioni, le privazioni. Dalla prima sberla presa dal marito mentre era incinta, “perché mi ero messa una camicetta col pizzo”, a quella notte cui è sopravvissuta solo grazie alla forza che è riuscita a trovare dentro di sé, ha resistito a ogni genere di annientamento “perché volevo dare il meglio ai miei figli, dare loro un futuro, e non mi ero resa conto che nel frattempo erano vittime anche loro”.

Quattro anni fa, assieme a un’altra donna dalla storia simile, e affiancata dall’assistente sociale Barbara Verasani, ha fatto partire “quello che è stato di fatto il primo corso di ‘auto mutuo aiuto’ per donne che stanno vivendo o sono uscite dalla violenza” , a San Giovanni in Persiceto. Il gruppo “Mai più” in questo tempo ha permesso di avvicinare e aiutare una quarantina di vittime e si sta moltiplicando, a Bologna e dintorni, per coinvolgere e salvare quante più donne possibile.

“Quella notte, quando ho visto i lampeggianti blu dei carabinieri, è come se avessi visto il sole ” , confessa Alla mentre racconta il suo incubo durato anni, “cresciuto come un vortice” : è cominciato con un armadio riempito solo di jeans e magliette “che non lasciassero intuire il fisico, adoravo le scarpe rosse ma non potevo metterle, perché per lui erano ‘da prostitute'” , per proseguire con frasi terribili (“Come sei grassa, sembri una mucca, ma ti sei guardata allo specchio?”), col terrore che montava “perché dal rumore dei passi sulla ghiaia davanti a casa potevo capire di che umore era”. Botte prese in silenzio, senza urlare dal dolore, “perché i miei bimbi non si svegliassero”.

Il culmine quella notte mostruosa, in cui la violenza è esplosa oltre ogni limite: lei si è salvata grazie a un conoscente che ha chiamato il 112, e alla sua voglia di vivere. L’ex marito è stato condannato per tentato omicidio e sequestro di persona a un anno e dieci mesi. E Alla ha dovuto ricominciare tutto da capo. “Non avevo nessuno, se non pochissimi amici, ma mi sono detta: voglio sopravvivere e vivere bene. I miei figli non mi devono vedere debole”. Al primo incontro del gruppo ha pianto a dirotto, come non aveva mai fatto prima: “Ho preso il mio dolore e ne ho dato un pezzetto a ogni donna presente, e finalmente non mi sono sentita giudicata”. È proprio questa una delle regole di base del gruppo: sospensione del giudizio, riservatezza ma anche libertà di emozioni. Non ci sono psicologi, né specialisti: solo persone che, aprendosi, scoprono di aver vissuto le stesse vicende terribili, e nel non sentirsi più sole trovano la forza di uscire dall’incubo e ripartire. Affrontando tutte le avversità, comprese le difficoltà economiche. Per questo Alla e le altre compagne hanno dato vita, fra l’altro, a progetti di microcredito: pochi euro “possono fare la differenza, quando si è con l’acqua alla gola, fossero per una bolletta da pagare o per quella pizza fuori con le amiche finora negata” .

Alla ha trasformato il dolore in lotta per la libertà, sua e di chi ha vissuto lo stesso orrore, e con le altre sopravvissute si impegna per aiutare chi ha bisogno: “Abbiamo fatto i turni in ospedale per dire a una vittima: ‘Puoi farcela da sola, ma sappi che non sei sola’. Accompagno le donne in tribunale, perché non affrontino in solitudine i loro maltrattanti: io l’ho provato, e mi sono sentita come un coniglio di fronte a un pitone. Parlo con medici e infermiere, vado nelle scuole. Una ragazzina è tornata a casa col nostro volantino e ha detto: ‘Mamma, questo è ciò che succede a te. Devi chiamare’. E lei l’ha fatto”. “La forza del gruppo è proprio questa”, spiega Verasani, “tramutare il bisogno in risorsa. Si va per chiedere aiuto, e ci si ritrova a donarne. Non ci sono esperti: gli esperti sono loro, le vittime, che riescono a creare un percorso virtuoso”. “Se ho ancora paura? Certo”, confida Alla, “ma ora la so affrontare. Ho aperto le ali, e nessuno mi ferma”.

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