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Vasto, i genitori di Di Lello: “Avevamo chiesto il ricovero di Fabio. Se ci avessero ascoltato Italo or asarebbe vivo”

Feb 5, 2017

VASTO – “Due giorni prima del delitto sono andata dallo specialista, uno dei tre da cui Fabio era in cura. Gli ho detto: mio figlio sta male, sta davvero molto male, ricoveratelo”. Chissà, magari sarebbe bastato ascoltare mamma Lina per disarmare in tempo la mente e la mano che ha ucciso Italo D’Elisa. Lo hanno sepolto ieri a 21 anni. Poche ore prima avevamo registrato – in piena notte – questo sfogo di due ore dei genitori del suo assassino: “Scusa di tutto, Italo. Eri solo un bambino. Ci dispiace tanto. Arrivare a ‘sto punto, nostro figlio… Non abbiamo il coraggio di andare al funerale. Lo vorremmo, ma forse non sarebbe giusto. Abbiamo mandato una corona di fiori”, dicono Lina e Roberto Di Lello invitandoci in casa, sopra il loro rinomato forno.

Cosa vi ha risposto lo specialista?

“Che non era possibile ricoverarlo, se non era lui a chiederlo”.

Quante ore trascorreva al cimitero?

Lina: “Dopo la morte di Roberta saltava il muro del cimitero per restare con lei anche la notte. La mattina entrava prestissimo, coi muratori, e spesso ci restava tutto il giorno. Adesso si alzava alle 9 perché i farmaci lo facevano dormire, e si arrabbiava per il tempo perso. Ormai avevamo paura di lui, delle sue reazioni: non gli potevi dire nulla, si infuriava subito. Aveva smesso di lavorare, non faceva più nulla, diceva che i soldi non servono, pensava solo al cimitero. Quando suo fratello gli ha detto “vienitene un po’ a Roma con noi”, gli ha risposto: “Ma tu sei pazzo, con mia moglie chi ci sta?””.

Sognava la vendetta del gladiatore?

Lina: “Ma no, quell’immagine da gladiatore si riferisce a quando giocava a calcio… lui era veramente un gladiatore, sul campo: un lottatore. Hanno interpretato male”.

Vi aveva donato una palazzina. Non vi siete preoccupati? Vorrà mica uccidersi? Vorrà mica ucciderlo?

Roberto: “Non l’abbiamo pensato perché quella palazzina aveva tre appartamenti, e lui doveva occuparsi di questioni amministrative e gestione degli affitti ma non era preparato e non voleva fare più nulla, ci faceva disperare. Qualche mese fa un inquilino gli ha fatto vedere i guai: “Mi metto a litigare con tutti? Occupatevene voi, vi giro l’immobile”, ci ha detto”.

E la pistola? Perché non gliela avete portata via?

Roberto: “Aveva il porto d’armi da una decina d’anni, andava a sparare al poligono”.

Ma aveva comprato la pistola dopo la morte di Roberta.

Roberto: “L’abbiamo scoperto ora anche noi. Qualche volta aveva detto “adesso mi compro la pistola”, mai che l’aveva fatto davvero. E lui di chiacchiere ne faceva tante”.

Fabio accusava Italo di sfotterlo?

Roberto: “Facevano i ragazzini tutti e due. Gli sbruffoni. Lo vedeva qui davanti e diceva: mi è venuto a sfottere”.

Lina: “Una volta mi ha detto: “Quello là mi ha fatto un brutto gesto, si è toccato”. Se avessero fatto una scazzottata, davanti a quel bar! Oggi dobbiamo passarci la mano sulla coscienza: se fosse stato mio figlio? I ragazzi hanno fatto sbagli, ma noi genitori dobbiamo dire basta”.

Se non avesse avuto l’arma…

Roberto: “Ma aveva il porto d’armi, glielo doveva togliere la legge! Anche se l’avessimo saputo, cosa avremmo potuto fare? Certamente la nascondeva. E chi immaginava che nostro figlio potesse fare una cosa simile”.

Ha mai detto: ora vado e l’ammazzo?

“A volte diceva “io l’accido, quello là”, ma è un modo di dire”, dice Lina. “Lo richiamavo di brutto – spiega il padre – se fai una cosa del genere… Mi vuoi rovinare? Quanto posso vivere io? Cinque, dieci anni… e tu mi fai questo? Ultimamente diceva che lo vedeva passare qui davanti con una piccola Chevrolet nera guidata dalla sua ragazza. Diceva che passavano, rallentavano, lo guardavano e poi ripartivano: “Mi sfotte. È passata la macchina nera, è quello là…”. E io: e che t’ha fatto? La strada è di tutti. Ma lui urlava: ci penso io!, e usciva sbattendo la porta. Era diventata un’ossessione”.

Qualcuno lo incitava?

Lina: “Le persone lo vedevano agitato ma non hanno capito che parlargli di quel ragazzo non era un bene. Gli dicevano che l’avevano visto al bar, gli scrivevano che era andato in vacanza, che beveva e rideva con le ragazze. E lui: vedi, mamma? Fabio, la vita continua, è successa pure a lui la disgrazia, gli rispondevamo, ma si arrabbiava: disgrazia? ma non lo sapete dove sta mia moglie? Il lutto comincia a realizzarsi dopo sei o sette mesi, e puoi migliorare o peggiorare: lui è finito in un tunnel”.

Fabio e Italo si sono mai parlati?

Lina: “No. Nei tre giorni in cui tornava dall’allenamento dei giovani del Cupello e andava verso il cimitero lo incrociava spesso in bicicletta passando davanti al bar in cui è morto. E non è vero che Italo andava in motorino”.

È vero che avreste lasciato il forno a Fabio e Roberta?

Lina: “Sì, a gennaio sarebbero subentrati allargando l’attività. Da un annetto lavorava qui anche Roberta. Era incinta, sì: non l’abbiamo mai confermato, prima d’ora. Erano iniziate le nausee ma volevano farci la sorpresa, la notte in cui è morta stava tornando a casa a preparare il rinfresco per dircelo il giorno dopo”.

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