• 30 Settembre 2024 14:34

Corriere NET

Succede nel Mondo, accade qui!

Università, tra venti anni un milione e 600 mila 19enni in meno: così nell’anno peggiore 16 atenei rischiano di scomparire

Gen 30, 2021

Meno figli, meno giovani, meno studenti, meno università. Non è per forza un’equazione ma lo scenario più realistico, a oggi, verso cui si sta precipitando. E il rinoceronte grigio – metafora economica che indica un evento probabile quanto ignorato – è già qui, ad avvisarci.

Nei prossimi vent’anni, ha calcolato l’Istat in base ai (pochi) già nati e ai (pochissimi) nascituri in un anno ancora in era Covid, la popolazione giovanile tra i 18 e i 20 anni sarà pari all’85% dell’attuale. Il che significa che da qui al 2040 ci saranno un milione e 600 mila neo maggiorenni in meno. Un invecchiamento generale della popolazione che si può riassumere anche con un altro dato: oggi per ogni 19enne ci sono 115 sessantasettenni, questo rapporto nel 2040 potrebbe inasprirsi ulteriormente arrivando a 1 giovane su 184 pensionabili.

Ma che effetto avrà il calo demografico sull’università italiana? Se l’è chiesto l’osservatorio Talents Venture: rispetto al milione e mezzo di 19enni in meno, gli immatricolati di quell’età, sempre nei prossimi vent’anni, saranno complessivamente, cioè sommando i cali annuali, 260mila in meno. Considerando che la mediana dei neo iscritti a ogni ateneo è di 2300 persone (bilanciando grandi università come la Sapienza di Roma con i numeri piccolissimi ad esempio di Unicamillus, ateneo privato riconosciuto dal Mur) e che l’emorragia nei 12 mesi peggiori sarà di 39mila diciannovenni, ciò significa che nell’anno da profondo rosso 16 atenei si ritroverebbero senza giovani immatricolati, scomparendo così nel giro di un ciclo di studi.

L’impatto maggiore si avrebbe nel Sud Italia – Basilicata, Puglia, Campania, Sicilia e Calabria – che già oggi ha i tassi d’immatricolazione più bassi d’Italia (tra 54 e 59%) e la più alta crisi demografica. “Purtroppo i dati non ci dicono nulla di nuovo. Il vero problema però è rappresentato dal fatto che, in passato, non si è stati in grado di attrarre altre realtà a conoscere i nostri atenei. In quest’ottica sono molto interessanti tutte le iniziative che favoriscono gli scambi a livello internazionale, come gli 11 corsi in inglese che attiverà l’Università della Calabria nel prossimo anno accademico” spiega la professoressa Angela Costabile, delegata all’Orientamento in ingresso.

Ci sono, per completezza, altri due scenari ipotizzati da Talents Venture. Uno di “crescita lieve” in cui si calcola che gli immatricolati aumentino grazie ai correttivi introdotti dalle università, ma non al punto da compensare il calo demografico: in questo caso nel prossimo ventennio gli atenei potrebbe essere 8 in meno degli attuali. E uno, così roseo da apparire fantascienza al momento, in cui addirittura le università guadagnerebbero iscritti a un ritmo vertiginoso e non basterebbero a supportare la crescente domanda di istruzione.

“A oggi però – afferma Pier Giorgio Bianchi, co-founder di Talents Venture – lo scenario peggiore è anche il più verosimile. E il nostro messaggio è: scongiuriamolo, invertiamo la tendenza”. Per questo l’Osservatorio ha immaginato alcune soluzioni per investire, ad esempio, le risorse del Recovery Plan: “Gli atenei dovrebbero, da un lato, rivedere i propri spazi e rendersi più funzionali per lezioni blended (un misto di presenza e distanza che s’immagina resterà anche in futuro) e, dall’altro, attrarre più adulti, nella prospettiva di un lifelong learning, e più studenti stranieri soprattutto dal continente africano, dove invece nel 2040 ci saranno circa 190 milioni di giovani in età universitaria”.

Non è un caso che sette importanti atenei italiani – Politecnico di Milano, Università di Bologna, Università di Firenze, la Federico II di Napoli, l’Università di Padova e Sapienza di Roma – abbiano deciso “di consolidare un percorso di promozione internazionale del nostro sistema universitario in un’area geopolitica cruciale come l’Africa con formazione qualificata a sostegno dello sviluppo socioeconomico del continente e opportunità di scambio tra i rispettivi sistemi culturali, economici, imprenditoriali” racconta la prorettrice del Politecnico di Milano, Donatella Sciuto.

L’università del futuro è dunque sempre più un campus internazionale. “La sfida per i prossimi vent’anni sarà quella di ripensare un’università nuova, in cui restituire valore alla presenza, alla relazione internazionale e alla mobilità – conclude Sciuto – Il pericolo da scongiurare oggi, di fronte al perdurare della pandemia, è evitare che la crisi economica e sociale porti a un’ulteriore rinuncia agli studi. Sarebbe un danno enorme in un Paese che è fanalino di coda nelle classifiche internazionali per numero di laureati e in particolare in materie tecnico-scientifiche”.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Guarda la Policy

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close