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Underworld Ascendant Recensione, simulazione immersiva difettosa

Nov 24, 2018

Underworld Ascendant è il seguito spirituale della serie Ultima Underworld, pietra miliare del genere RPG che ha influenzato il modo di costruire i videogiochi disancorandoli dalle pesanti catene della linearità e che ha rivoluzionato il modo di concepire gli spazi e le ambientazioni calando in un contesto tridimensionale il giocatore ancor prima che Wolfenstein 3D e DOOM sdoganassero la grafica 3D. OtherSide Entertainment, che si occupa dello sviluppo dell’immersive sim Underworld Ascendant, è formata in parte da quelle brillanti menti che hanno segnato il game design per sempre, prima con Blue Sky Productions, poi con Looking Glass Studios e altre aziende nate da quello stesso fermento.

Paul Neurath, Tim Stellmach, Warren Spector, Nate Wells. Se questi nomi vi dicono poco o nulla, forse vi diranno di più – oltre a Ultima Underworld – Thief e System Shock. L’eredità che questi titoli hanno lasciato ha avuto un grande impatto già negli anni novanta su Deus Ex dello stesso Spector, TES: Arena e Daggerfall di Bethesda per citarne alcuni, mentre questo lascito rivive con spirito più moderno in Dishonored e Prey di Arkane Studios – studio responsabile anche di Arx Fatalis e Dark Messiah of Might and Magic che per anni hanno sopperito al vuoto lasciato dalla serie Underworld -, l’intramontabile Skyrim, e volendo allargare ulteriormente il concetto di “simulazione immersiva” potremmo comprendere anche Hitman.

Con un tale biglietto da visita ad accompagnare OtherSide Entertainment, la campagna Kickstarter lanciata per Underworld Ascendant non poteva che essere di successo: oltre 860.000 dollari raccolti da quasi 14.000 backer per un titolo ambizioso che non voleva solo guardare con nostalgia al passato, ma aveva tutta l’intenzione di sfruttare gli attuali avanzamenti tecnologici. Un progetto che nel corso dei tre anni di sviluppo si è rivelato forse troppo ambizioso per i finanziamenti ricevuti e fuori scala per un team indipendente di piccole dimensioni, a prescindere dai nomi che ci sono dietro.

Il risultato è un prodotto ancora troppo acerbo e incompleto sotto molto aspetti. Il team si è già prefissato di sistemare le abissali lacune con patch correttive settimana dopo settimana, ma allo stato attuale Underworld Ascendant sembra più un titolo da Accesso Anticipato, o peggio ancora, un titolo che necessita di molti mesi di sviluppo prima di essere messo sul mercato. Un vero peccato per le dinamiche di gioco emergenti e la libertà di approccio di cui si fa promotore, le poche facce brillanti di un diamante grezzo che aspetta ancora di essere tagliato e valorizzato per non fare la fine dell’ennesimo sassolino di poco valore gettato su Steam.


Un profondo abisso di bug

La storia di Underworld Ascendant non è particolarmente originale: il nostro eroe, l’Ascendant – l’Avatar per intenderci– viene convocato dall’entità Cabirus – un nome che forse ricorda qualcosa ai vecchi giocatori di Ultima – e “intrappolato” all’interno dell’Abisso Stigeo con un obiettivo: sconfiggere il mostruoso Typhon, l’incubo dell’universo primordiale che Zeus in persona ha imprigionato sotto un vulcano. Prima di affrontare questa apocalisse vivente dovremo recuperare sette chiavi e cercare di ottenere il favore delle fazioni che si dividono questo oscuro e un po’ piatto mondo di gioco. Invece che trovarci in un ambiente connesso senza strappi, con creature vive che agiscono e interagiscono per riflettere i cambiamenti che il nostro intervento comunque apporta, passiamo parte del nostro tempo nell’hub centrale rappresentato dalla città di Marcaul. Qui accettiamo missioni da una bacheca centrale – una sola missione alla volta, per accettarne una nuova dovremo nuovamente tornare a Marcaul e ripercorrere i nostri passi -, spendiamo i nostri punti abilità – i Memora -, acquistiamo oggetti che potrebbero esserci utili come totalmente inutili visto che in molti casi non presentano statistiche, o i loro effetti sono sconosciuti fino all’uso.

Dimenticate quindi un ricco mondo unitario che si apre in base alle vostre scoperte, ma pensate più a una serie di livelli connessi da portali. Ogni missione indicherà il luogo, il portale vi condurrà lì e solo in quel momento potrà iniziare l’esplorazione. La fase di esplorazione, nel complesso, è tra gli aspetti riusciti del titolo perché mantiene fascino e mistero potersi approcciare all’ambiente di gioco nel modo che si preferisce, data tutta una serie di strumenti di base, se non fosse che il piacere di perdersi e sperimentare venga annientato da ripetuti bug, texture mal posizionate, cali vistosi di framerate anche su PC performanti, animazioni e movimenti raffazzonati, comandi che non rispondono e impediscono di interagire.




Il nostro personaggio, di cui vediamo a malapena le braccia, procede impacciato, rallentato dal più piccolo degli scalini che fatica a superare. Saltare o cercare di aggrapparsi risulterà in una semplice oscillazione della visuale, mentre nuoteremo senza accennare al minimo movimento delle braccia, camminando come se fossimo tronchi spostati dalla corrente. La fisica, che dovrebbe essere un vanto della produzione, a volte funziona altre volte si rende protagonista di scene che rompono l’immedesimazione e l’immersione. Casse e altri oggetti hanno un proprio peso che determina lo sforzo da compiere per riuscire a spostare o lanciare l’oggetto. Casse in metallo, impilate una sopra l’altra per creare una scalinata richiedono un certo impegno per essere spostate e adagiate, tuttavia nel momento in cui cerchiamo di usarle a nostro vantaggio per raggiungere un punto sopraelevato, al minimo tocco con i piedi si spostano. Le casse in legno possono prendere fuoco ed essere lanciate contro porte e altri ostacoli per far divampare le fiamme ma con stupore si notano assi di legno ancora integre dopo l’effetto, sparse per il pavimento o che fanno strani rimbalzi per la mappa prima di atterrare. Quando lanciamo un oggetto è accompagnato da una scia luminosa che ne indica il movimento e che permane per qualche secondo anche quando l’oggetto non è più in movimento. O altre situazioni che interrompono la nostra intensa partecipazione e ci riportano bruscamente alla realtà come colpire una candela con una freccia e vedere che fa cadere un intero lampadario.

Poter sfruttare il pensiero laterale per risolvere enigmi è di per sé un’ottima idea e il gioco fa del suo meglio per spronarci a trovare soluzioni diverse, approcci a cui non avevamo pensato prima, ottenendo riconoscimenti a fine livello in base alle combinazioni di stili di gioco effettuate. Purtroppo però quando gli elementi che dovrebbero sostenere la nostra libertà di azione non funzionano, ripetere lo stesso livello più volte in missioni già di per sé poco stimolanti – come raccogliere oggetti di cui siamo già in possesso ma devono per forza essere raccolti all’interno di quel determinato livello – risulta tedioso e frustrante. Viene meno l’agentività, la nostra capacità di agire attivamente in modo mirato: nel momento in cui scegliamo di completare l’intero livello senza farci sorprendere dai nemici sappiamo di poterlo fare perché Underworld Ascendant riprende esattamente le stesse meccaniche viste nel 1998 con Thief. Scegliamo autonomamente di sparare alle torce con frecce d’acqua per spegnerne la fiamma, ci muoviamo nell’ombra e superiamo i nemici. A volte però le frecce non fanno nessun effetto né sulle torce né sui nemici, costringendoci a rinunciare al nostro piano iniziale. Non siamo più liberi dai vincoli, ma rimaniamo ingabbiati nelle uniche soluzioni funzionanti al momento: forza bruta o corsa, tanto neanche l’intelligenza artificiale dei nemici riesce a starci dietro.




Quando la fisica non funziona, le interazioni non vanno a segno, i nemici hanno problemi di pathfinding o si comportano in modi ilari ma del tutto fuori contesto – abbiamo visto uno scheletro ingaggiare un’animosa lotta con un candeliere a muro, girandogli intorno e attaccandolo con veemenza – l’esito è disastroso e si perde tutta l’impalcatura che potrebbe fare di Underworld Ascendant un titolo almeno giocabile dall’inizio fino alla fine. I combattimenti sono scialbi: si para e si contrattacca, o ci si allontana dal nemico per infliggergli un colpo caricato e considerato quanto è facile tenere a bada gli avversari basterà essere solo più veloci a infliggere un numero imprecisato di colpi perché non abbiamo idea di quanto siano forti le nostre armi, quanto siano resistenti i nemici e quanta vita abbiano. Di buono c’è che si può migliorare la propria specializzazione nel combattimento: spendendo “memora” il nostro “avatar” può potenziare le sue abilità nel corpo a corpo, nella magia o nella furtività facendoci ritrovare la libertà perduta almeno nel decidere chi vogliamo essere, che in fondo resta un esercizio di stile se ciò che abbiamo appreso si scontra con bug e glitch di ogni sorta.

Una nota positiva è che ritroviamo le rune da combinare per creare incantesimi. Nulla di nuovo per chi conosce già Ultima, ma l’utilizzo delle pietre runiche su cui sono incise le parole del potere aumenta le possibilità di interagire con l’ambiente in modi inusuali e creativi. Le rune possono essere combinate in modo tale da formare le parole necessarie per un incantesimo: si trovano indizi sulle pietre presenti nei livelli o si può sperimentare con le rune in proprio possesso. Gli incantesimi creati da zero saranno sbloccati ma appariranno senza nome rendendo difficile dalle sole animazioni capire che cosa fa un incantesimo e soprattutto su quali bersagli ha effetto. Le magie si possono anche lanciare attraverso le bacchette consumando una quantità di mana che, a meno di non trovare fonti per ripristinarla, basta sì e no per due magie.

Salvare il salvabile

L’aspetto che più di tutti influisce negativamente è la gestione dei salvataggi e lo strano sistema che li governa legato ad alberi magici da piantare nel terreno. Attualmente si può salvare il gioco in Marcaul o in qualsiasi livello dei dungeon, tuttavia farlo durante un livello ci permette di salvare il contenuto dell’inventario, gli oggetti nella barra di selezione e tutto ciò che è stato raccolto ma che non è legato alla missione. Ciò significa che il gioco non salva la nostra posizione corrente, il nostro progresso nella quest, la posizione dei nemici né lo stato corrente delle casse o delle modifiche attuate nel livello. Quando si resta intrappolati o i comandi non rispondono adeguatamente, la soluzione più immediata è ricaricare il salvataggio con l’unico risultato di vedersi azzerati i progressi.



Gli sviluppatori sono stati sommersi da aspre ma giustificate critiche e la promessa è che i salvataggi verranno sistemati, ma ciò richiede un intervento massiccio sul mondo di gioco che necessita di una considerevole quantità di tempo per essere implementato. Probabilmente a un mese da oggi il gioco potrebbe assumere una forma migliore, e ce lo auguriamo, ma in base a ciò che abbiamo potuto provare non si avvicina neanche a una copia sbiadita di Ultima Underworld. OtherSide sembra aver messo in commercio una build alpha del gioco – la versione qui provata corrisponde alla 0.3.26819 – molto lontana dall’essere completa e rifinita come dimostrano anche i menu e l’inventario le cui icone sembrano più oggetti placeholder senz’anima e varietà. Il titolo sembra nascere vecchio, da idee che ai tempi furono innovative, ma che oggi non hanno minimamente tenuto in considerazione l’evoluzione portata avanti dai quei figli nati e cresciuti guardando con rispetto a quella stessa filosofia di design che oggi ci sembra tradita.

Ci viene difficile credere che al team manchino le qualità per sviluppare un prodotto discreto e siamo più propensi a credere che qualcosa sia andato storto, a partire dall’aver forse insistito su una visione troppo ampia per i fondi e la dimensione dell’organico a disposizione. Gestire l’attuale fatiscente situazione non deve essere facile ed è comunque apprezzabile e incoraggiante sapere che OtherSide Entertainment ci sta mettendo la faccia, mantenendo un filo diretto con i fan e gli acquirenti e rimboccandosi le maniche per sistemare fin da subito i difetti minori in attesa della grande patch. Ci auspichiamo che il gioco possa intraprendere un percorso di rinnovamento come accaduto a titoli come No Man’s Sky – che era pur sempre giocabile nonostante le promesse non pienamente soddisfatte -, perché le potenzialità ci sono, solo che sono nascoste sotto un macigno di problemi tecnici e scelte poco oculate di design.

Se cerchi un gioco di ruolo dove la fisica e le scelte contano prova Divinity: Original Sin II

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