AGI – “Questa è la prima volta che vengo in un campo dì concentramento e l’impatto è molto forte perché mio bisnonno dopo essere sopravvissuto non è mai voluto tornare, è stato una persona molto rigida, non si è mai aperto, non ha mai scritto nulla” inizia così il racconto di Lyel Dabush, il suo bis nonno è Leone Sabatello, detto Leoncino, deportato a Auschwitz in quel maledetto “Sabato nero” che ha segnato la storia della comunità ebraica di Roma.
Lyel sta partecipando al viaggio della Memoria del comune di Roma ad Auschwitz insieme a 142 studenti romani.
“È molto importante che sia io con la mia famiglia a dare importanza alla sua storia. Per noi è un evento molto significativo. – racconta la studentessa della scuola ebraica di Roma – Mi sono preparata a questo viaggio sia a scuola, sia con degli incontri delle associazioni, ma non si è mai pronti a venire qui. Comunque ci hanno detto di venire con la mente libera e così sono partita, senza aspettative Sicuramente è un impatto e un’emozione molto forte”.
Mentre parla, inizia a scendere una pioggia forte, ma non sembra disturbarla. Siamo proprio accanto a quei binari che entravano nei campi con vagoni carichi di ebrei da ogni parte di Europa.
“Il mio bisnonno abitava a Roma al Portico d’Ottavia, è stato deportato il 16 ottobre con 12 componenti della sua famiglia e lui, che aveva 16 anni, è l’unico a essere tornato nonostante tra loro ci fosse un bambino molto piccolo di 4 mesi. È rimasto qui a Birkenau per 15 mesi ed è tornato a Roma il 25 aprile dopo la liberazione del campo da parte dei russi. – racconta – Lui non aveva studiato, aveva sempre lavorato, era molto forte e per questo quando è arrivato alla Juden ramp alla selezione lo hanno mandato a lavorare mentre tutta la sua famiglia è stata mandata subito a morte nelle camere a gas”.
Cosa raccontava il tuo bis-nonno della sua prigionia?
“A mia mamma ha sempre raccontato tutto, i 15 mesi che ha trascorso qui come cinque anni. Non ha mai più riposato una sola notte nella sua vita/ la notte si svegliava e diceva che arrivavano i tedeschi e bisognava scappare”.
E cosa riporti a casa dopo questa esperienza?
“La cosa più preziosa che porto a casa è che io sia qui, perché se il mio bisnonno non fosse mai tornato io non sarei qui a raccontare la sua storia. Venire qui per me è un simbolo di vittoria: è il simbolo del fatto che noi siamo riusciti a vincere contro questa cosa.
Cosa racconterai ai tuoi genitori?
Sicuramente racconterò del freddo, delle sensazioni, gli oggetti che rendono molto più delle descrizioni. È un’esperienza diversa”.
E infine Lyel racconta la cosa più importante “Mia mamma questa mattina mi ha scritto un messaggio e mi ha detto che quando la mia famiglia è partita per il campo di concentramento aveva solo il biglietto di andata, e io, venendo qui, è come se li riportassi a casa“.