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Un capitalismo malato di asset intangibili

Gen 29, 2018

In un recente saggio, intitolato Capitalism without Capital: The Rise of the Intangible Economy, Jonathan Haskel e Stian Westlake mettono in evidenza la tendenza delle aziende moderne a operare con una dotazione limitata o inesistente di attivit materiali.

La Apple la societ pi quotata del mondo, ma ha poche propriet fisiche: il suo valore dato dalle attivit immateriali, come il software e il design.

Molti degli attributi delle attivit immateriali sono positivi, osservano gli autori: per esempio, possono essere facilmente estese su larga scala e possono generare sinergie. Ma c’ un aspetto pi preoccupante, ed il fatto che sono attivit sommerse, nel senso che hanno un valore di mercato immediato nullo o limitato, a differenza degli immobili, degli stabilimenti, delle attrezzature. Possono essere scarsamente appetibili per qualsiasi altra impresa, e se sopravviene una crisi, di conseguenza, il loro valore pu precipitare in modo repentino e definitivo.

Il fallimento della Carillion un esempio concreto di questi pericoli. Il colosso britannico dell’outsourcing imploso clamorosamente questo mese, lasciandosi dietro pochissimi asset utili per i creditori, fra cui figurano i tanti membri del piano pensionistico aziendale.

Le critiche finora si sono appuntate soprattutto sulla pratica delle esternalizzazioni, contestando la logica che il settore pubblico appalti ad aziende private le attivit spicciole. Ma il fallimento della Carillion richiama l’attenzione su altri aspetti allarmanti, perch la prova di quanto sia pericoloso, come succede con le banche, espandere aziende che hanno bilanci infarciti di attivit immateriali difficili da valutare e scarsamente liquide.

Basta dare un’occhiata al bilancio della Carillion per capire quanta importanza avessero queste attivit immateriali. Alla fine del 2016, quelle che potevano essere vendute in caso di crisi (attivit fisse e azioni) costituivano appena il 5% del totale. La solvibilit dell’azienda dipendeva dalla valutazione di attivit immateriali che rappresentavano quasi il 40% del bilancio. Nella quasi totalit dei casi, si trattava di goodwill (valore di avviamento), acquisito insieme alle tante compagnie rilevate dalla Carillion nei suoi 18 anni di esistenza.

Il goodwill riflette, teoricamente, il valore attualizzato dei flussi di cassa futuri derivanti dalle attivit sottostanti di un’azienda (nel caso della Carillion, delle aziende che acquisiva). Le aziende che hanno un’elevata quantit di attivit immateriali spesso sono tentate di prendere soldi in prestito offrendo a garanzia questi attivi, specialmente (come nel caso della Carillion) quando hanno entrate garantite dallo Stato.

Ma, come sottolinea il professor Adam Leaver dell’Universit di Sheffield, questa strategia comporta dei rischi, perch impone all’azienda che prende i soldi in prestito di garantire che i costi attualizzati delle sue passivit future possano essere coperti dal reddito generato dalle attivit sottostanti. E qui sta la bomba a orologeria, nel caso della Carillion.

Quello che avrebbe dovuto fare il gruppo, quando si accorto di avere sovrastimato il valore futuro dei suoi appalti, era svalutare in parte il valore di avviamento iscritto in bilancio. Il problema, naturalmente, era che in quel modo avrebbe fatto un passo deciso in direzione dell’insolvenza, e gli alti dirigenti, di conseguenza, con ogni probabilit avrebbero perso il posto e le loro ricche gratifiche. Cos, hanno scelto di puntare su altri accorgimenti meno responsabili, proseguendo nel loro difficile gioco di equilibrismo.

Uno di questi accorgimenti era accumulare ancora pi passivit a breve termine: non solo per far fronte alle carenze di liquidit sugli appalti con valore di mercato inferiore a quello nominale, ma anche per versare grossi dividendi agli azionisti e tenerseli buoni.

La Carillion ha cercato anche di giocare il tutto per tutto prendendosi altri appalti, nella speranza di usare il denaro per rimborsare i creditori a breve termine. Questa politica, oltre a scoprire un altare per coprirne un altro, ha fatto scendere drasticamente i margini, perch il gruppo, per assicurarsi gli appalti, ha ridotto i prezzi. Tra il 2012 e il 2016, secondo il professor Leaver, il margine operativo sceso dal 5,3 ad appena il 4%, contribuendo all’implosione della societ.

Da tutte queste osservazioni, conseguono due cose. La prima che in un mondo degli affari pi immateriale c’ bisogno di regole pi chiare per la valutazione delle attivit immateriali. Nel caso della Carillion, tutti, apparentemente, si sono attenuti a quello che facevano altri: e quindi i prestatori hanno continuato a prestare perch lo Stato continuava ingannevolmente a concedere appalti (quasi fino alla fine), e probabilmente i revisori dei conti sosterranno che si sentivano tranquillizzati dal fatto che la Carillion riuscisse ancora a raccogliere finanziamenti.

Ovviamente questo non impedir alla Kpmg, la societ di revisione dei conti, di finire sulla graticola per la sua condotta: dovranno spiegare perch non hanno svalutato nemmeno di un centesimo il valore di avviamento, nonostante le manovre sempre pi disperate della Carillion.

In Gran Bretagna, come negli Usa, gli investimenti in attivit immateriali ormai superano quelli in attivit materiali. Le regole non sono l’unica cosa che si deve evolvere in questo contesto. Azionisti e creditori devono ragionare in modo pi approfondito sui criteri di governance nelle imprese dove c’ una maggiore incidenza di attivit immateriali. Questo potrebbe significare tenere maggiormente a freno la leva finanziaria e imporre uno stop automatico all’erogazione di dividendi quando le aziende sono fortemente indebitate.

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