AGI – Quella mattina del 30 novembre 2016, Mamhoud Abou Soliman detto ‘Mimmo’, 53 anni, padre di tre figli, non aveva a disposizione vie di fuga per sottrarsi alla furia del toro. Anche per questo la Cassazione ha condannato a otto mesi di carcere per omicidio colposo il datore di lavoro del mungitore egiziano incornato e ucciso dall’animale in una fattoria del lodigiano.
Gli ermellini hanno respinto il ricorso della difesa secondo la quale non c’era la certezza che “una diversa e migliore recinzione avrebbe impedito l’evento” e che il lavoratore sarebbe “entrato nel paddock contro le direttive impartite da datore, oltre che senza strumenti e in presenza di un toro irrequieto”, quindi prevedibilmente pericoloso.
Nella sentenza del 22 luglio letta dall’AGI, la Suprema Corte ricorda che già i primi due gradi di giudizio avevano accertato che “la stalla nella quale si trovava il toro era priva delle necessarie vie di fuga tali da garantire l’uscita dai box o la separazione dall’animale in caso di pericolo” e che si erano registrate “plurime omissioni della disciplina antinfortunistica”, come la mancanza di corsi di formazione per la sicurezza.
Bocciata anche le tesi dell’attacco “imprevedibile” perché “il toro risultava molto irrequieto, tanto che il veterinario lì presente aveva invitato il datore (e per lui i suoi dipendenti) a non entrare nel box in cui si trovava l’animale”. Era stato lo stesso imprenditore agricolo a violare le indicazioni del veterinario.
“Entrato nel box per provare a muovere le bovine – questo la versione accolta dai giudici – aveva intimato al mungitore di rimanere all’esterno, nel paddock. Il datore aveva fatto uscire dal box il toro che così era entrato nello stesso ambiente in cui si trovava il lavoratore, colpito e caricato senza scampo a causa dell’assenza di vie di fuga”.