A Dallas, Uber ha dato il via a un servizio di robotaxi autonomi in collaborazione con Avride, una startup che si occupa di guida autonoma, portando sulle strade un sistema di trasporto che fino a poco tempo fa sembrava appartenere più ai film di fantascienza che alla realtà quotidiana. Questo servizio sfrutta veicoli elettrici Hyundai Ioniq 5 equipaggiati con la tecnologia di guida autonoma sviluppata da Avride. Un mix di efficienza, intelligenza artificiale e autonomia che si propone di rivoluzionare il modo in cui ci si sposta in città, pur mantenendo un approccio graduale verso l’autonomia completa.
La scelta di Dallas non è casuale: l’area copre circa nove miglia quadrate, includendo zone centrali e vivaci come Downtown, Uptown, Turtle Creek e Deep Ellum. In questa porzione di città, chi prenota una corsa tramite l’app Uber potrebbe trovarsi abbinato a uno di questi robotaxi, che vengono proposti senza costi aggiuntivi rispetto alle opzioni tradizionali. La mossa si inserisce in un contesto più ampio di sperimentazioni e sviluppo della guida autonoma in diverse metropoli, dove le grandi piattaforme di ride-hailing cercano non solo di innovare, ma anche di testare concretamente una tecnologia che promette di cambiare tutto: dalla sicurezza stradale alla gestione del traffico, fino all’esperienza stessa di viaggio in città.
Se si pensa a come funziona Uber oggi, la maggior parte delle persone immagina un’auto con un conducente umano pronto ad accompagnare da un punto A a un punto B. Con il lancio del servizio robotaxi a Dallas, quell’immagine cambia, almeno un po’. Quando si prenota una corsa tramite l’app, può capitare di ricevere una notifica che indica che il veicolo assegnato è un robotaxi autonomo. In pratica, l’esperienza parte sempre da un’interfaccia nota: la stessa app, la stessa procedura di prenotazione. Ma una volta che il robotaxi arriva, l’apertura delle portiere e l’inizio del viaggio avvengono direttamente tramite l’app stessa, senza bisogno di un conducente umano al volante.
Almeno per ora, però, non bisogna immaginare auto completamente senza supervisione: per questa fase iniziale, infatti, su ogni robotaxi c’è una persona seduta al posto di guida, pronta a intervenire se qualcosa non va. È un po’ come avere un pilota automatico che copre la maggior parte del percorso, ma con un supervisore pronto a prendere il controllo se necessario. Questo approccio ibrido ha un senso comprensibile: da una parte permette alle tecnologie di intelligenza artificiale di affrontare strade reali, traffico, semafori e pedoni, dall’altra garantisce un livello di sicurezza maggiore finché il sistema non raggiunge una maturità tale da potersi affidare completamente alle sue capacità.
La tecnologia dietro i robotaxi
Parlare di “robotaxi” vuol dire parlare di una tecnologia piuttosto complessa, che combina sensori avanzati, software di intelligenza artificiale e molta potenza di calcolo per interpretare l’ambiente circostante. I veicoli Hyundai Ioniq 5 usati nel servizio a Dallas non sono semplici auto elettriche: sono stati adattati e dotati di sensori come lidars, radar e telecamere, insieme a sistemi di elaborazione che raccolgono dati in tempo reale per decidere come muoversi.
È utile pensare a questi robotaxi come a “cervelli su ruote”, dove il software deve riconoscere segnali, ostacoli, pedoni e ogni sorta di variabile che un guidatore umano normalmente gestisce in maniera intuitiva. È un po’ come dare occhi e capacità decisionali a un veicolo, che deve imparare a comportarsi in mezzo al traffico urbano senza scosse, con fluidità e soprattutto in sicurezza. E questa tecnologia non è figlia del giorno prima: Avride stessa è nata da anni di sviluppo legati alla guida autonoma, con radici che risalgono alla divisione di auto senza conducente di Yandex, che poi si è trasformata in un progetto indipendente.
Ufficio Stampa UberLa vasta area urbana coperta dai Robotaxi di Uber
Dallas è una città interessante da questo punto di vista: non è una metropoli densa come New York o Tokyo, ma ha una grande estensione urbana e un mix di zone residenziali, commerciali e aree trafficate che la rendono un buon banco di prova per la guida autonoma. Il fatto che Uber abbia scelto proprio questa città per il lancio del servizio dice qualcosa sulle ambizioni di chi sta dietro a questa tecnologia. L’idea non è solo di testare un paio di robotaxi in un contesto controllato, ma di inserire questi veicoli all’interno di un sistema di trasporto reale, dove persone con esigenze diverse usano l’app per spostarsi ogni giorno. È un banco di prova per capire come reagiscono i sistemi di guida autonoma a situazioni reali, ma anche per capire come reagisce il pubblico davanti a una novità che, sebbene tecnologicamente avanzata, deve diventare parte naturale della routine urbana.
Inoltre, la presenza di servizi come questo apre interrogativi interessanti anche sul futuro dell’occupazione nel settore dei trasporti: se un giorno i veicoli senza conducente diventassero la norma, che ruolo avranno gli autisti tradizionali? Per ora non c’è un cambiamento drastico, ma si intravede una direzione in cui la tecnologia potrebbe alleggerire parte del lavoro umano, lasciando spazio a ruoli diversi in ambito logistico o di supervisione.
La corsa globale ai robotaxi e la competizione
Il lancio di Uber e Avride a Dallas non avviene in un vuoto: in molte parti del mondo aziende e piattaforme stanno investendo nella guida autonoma e nei servizi di robotaxi. Ci sono progetti simili in corso, come quelli portati avanti da Waymo e altri grandi protagonisti del settore, che puntano a estendere i servizi in più città e con diversi livelli di autonomia. Questa corsa alla tecnologia autonoma è alimentata da una serie di fattori: la possibilità di ridurre i costi operativi rispetto ai servizi tradizionali con conducente, la promessa di una maggiore sicurezza stradale grazie alla capacità dei sistemi automatici di reagire rapidamente, e la prospettiva di un nuovo modello di mobilità più sostenibile ed efficiente.
Nel caso specifico di Dallas, la concorrenza è già dietro l’angolo: altre aziende hanno annunciato l’intenzione di lanciare servizi simili entro i prossimi anni, e la presenza di più operatori nella stessa area potrebbe accelerare l’adozione di tecnologie autonome e migliorare l’esperienza complessiva per chi si sposta ogni giorno in città. Guardando alla scena di Dallas, viene naturale considerare questo lancio come un primo assaggio di un futuro in cui la mobilità quotidiana potrebbe essere molto diversa da quella che conosciamo oggi. Non è solo una questione di tecnologia, ma di come le persone, le città e le piattaforme di trasporto interagiranno in un mondo sempre più connesso e automatizzato.
Per ora, la presenza di un “safety driver” monitora ogni viaggio, e questo fa pensare che si stia procedendo con cautela, passo dopo passo, per garantire sicurezza e affidabilità. È un approccio pragmatico che bilancia innovazione e responsabilità, e che potrebbe gettare le basi per un giorno, forse non troppo lontano, in cui la presenza di conducenti umani nei robotaxi sarà solo un ricordo. In definitiva, la mossa di Uber a Dallas non è solo una singola notizia sul lancio di un servizio: è un segnale di come il mondo del ride-hailing e della mobilità urbana si stiano trasformando, spingendo verso un modello in cui le auto intelligenti saranno parte integrante della nostra routine quotidiana