• 28 Novembre 2024 2:42

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Tutti orfani di Roger: perché il ritiro di Federer ricorda quello di Totti

Set 17, 2022

AGI –  Federer, ti voglio bene. Proprio come il Mario Cioni interpretato al cinema da Benigni adorava Berlinguer, la cui desinenza del cognome era pure identica. Roger, ti voglio bene urlano da ogni angolo del globo tutti i membri della Chiesa tennistico-sociale che lo svizzero ha costruito attorno alla sua persona nell’ ultimo ventennio.

E il grido addolorato e anche un po’ spaurito che si leva da milioni di tastiere per riversarsi fluviale nel mare magnum dei social, non è che l’ennesima dimostrazione di come quella Chiesa rappresenti a tutt’oggi un fenomeno unico nella storia dello sport e della comunicazione che ha accompagnato la carriera e la vita di ogni big player.

Non si tifa né si è tifato per Federer. Gli si è voluto bene. Quando ha vinto certo: ma anche e soprattutto quando ha perso. Come in Australia nel 2009 quando davanti al mondo pianse alla premiazione degli Open dopo aver perso contro Rafa e disse: “Questa cosa mi sta uccidendo”. Oppure a Wimbledon 2019 quando non sfruttò due matchpoint contro Nole commettendo gli errori più grossolani (e per questo più umani) della sua carriera.

E il perché questo sia avvenuto ha una spiegazione con tante sfumature: Roger ha giocato un tennis bellissimo grazie alla capacità di rendere efficace la bellezza. E tutto ciò è andato in scena nell’era di massima mediatizzazione del tennis e dei suoi protagonisti.

Oggi non si è ritirato Roger Federer,si è ritirato IL TENNIS.

— Adriano Panatta (@AdrianoPanatta)
September 15, 2022

In più il suo tennis è diventato via via simbolico della grazia che ha la meglio sulla fisicità assoluta: non per nulla un genio assoluto come Nadal ha dovuto tentare di copiare qualcosa del suo gioco e del suo tocco per potenziare il suo personaggio; e c’è pure riuscito.

Per tutti questi motivi il ritiro di Roger ha avuto un impatto emotivo unico. A pensarci bene l’identificazione emotiva e stilistica fra il campione e il suo popolo ha avuto un solo precedente clamoroso: l’addio di Francesco Totti al calcio con la ben nota messa da quasi-requiem che si tenne all’Olimpico.

Non per niente Roger e Totti sono sempre stati amici, anche se c’è da scommettere che il matrimonio con Mirka, elogiata urbi et orbi nell’annuncio social del ritiro (“Voglio ringraziare la mia straordinaria moglie Mirka, che ha vissuto ogni minuto con me”) non farà la fine di quello del pupone e Ilary, anche se Roger è testimonial Rolex.

Il ritiro del simbolo-Roger non è la fine dello show: è l’interruzione di una speranza. Quella che la bellezza possa vincere il tempo o almeno limitarne i nefasti effetti.

Se Roger non gioca più non ci si limita al dispiacimento perché viene a mancare un grande interprete di una disciplina sportiva: viene meno un artista che grazie a volèe e smash, alla Sabr e ai tweener andava molto oltre il circense, proponeva uno stile che nella sua trasparenza era invito alla festa per tutti.

Non come il talento folle di McEnroe, la calcolata o la perfida superiorità di Laver: al gioco di Roger potevi ambire, almeno nei sogni. Certo: tutti ora metteranno l’accento sull’aggettivo “grande” dimenticando che Roger è anche “svizzero” e ha deciso di uscire di scena con un tempismo che a molti potrebbe non piacere ma dettato da esigenze di business: chiudendo cioè l’attività alla sua Laver Cup, evento-show da lui fondato ma piuttosto avulso dal circus internazionale che quest’anno, tra l’altro, rischiava di passare un po’ in sordina.

Ha unito utile a (insomma) dilettevole. I più avrebbero voluto un’uscita di scena magari nella sua Basilea oppure a Wimbledon 2023. Ma anche in questo, in fondo, Roger ha voluto sorprendere con il gesto più difficile compiuto con il massimo della naturalezza, more solito.

A noi italiani dispiace solo, e tanto, che non abbia mai vinto gli Internazionali di Roma. Ma anche in questo caso Roger ha trovato il modo di vincere pur perdendo: disputando contro Nadal la finale più roboante di sempre (nel 2006) che si si concluse al quinto set dopo che lo svizzero (anche in quel caso) fallì due matchpoint in modo clamoroso.

Alla celebrazione per il suo ingresso nella Hall Of Fame di Newport Pete Sampras ebbe a dire: “In fondo sono stato solo un tennista”. Frase che Federer non potrà mai pronunciare. Perché è stato un tennista che ha elevato il suo sport a rango di simbolo sociale e di speranza. Per questo a Roger si è voluto e si vuole bene.

AGI –  Federer, ti voglio bene. Proprio come il Mario Cioni interpretato al cinema da Benigni adorava Berlinguer, la cui desinenza del cognome era pure identica. Roger, ti voglio bene urlano da ogni angolo del globo tutti i membri della Chiesa tennistico-sociale che lo svizzero ha costruito attorno alla sua persona nell’ ultimo ventennio.
E il grido addolorato e anche un po’ spaurito che si leva da milioni di tastiere per riversarsi fluviale nel mare magnum dei social, non è che l’ennesima dimostrazione di come quella Chiesa rappresenti a tutt’oggi un fenomeno unico nella storia dello sport e della comunicazione che ha accompagnato la carriera e la vita di ogni big player.
Non si tifa né si è tifato per Federer. Gli si è voluto bene. Quando ha vinto certo: ma anche e soprattutto quando ha perso. Come in Australia nel 2009 quando davanti al mondo pianse alla premiazione degli Open dopo aver perso contro Rafa e disse: “Questa cosa mi sta uccidendo”. Oppure a Wimbledon 2019 quando non sfruttò due matchpoint contro Nole commettendo gli errori più grossolani (e per questo più umani) della sua carriera.
E il perché questo sia avvenuto ha una spiegazione con tante sfumature: Roger ha giocato un tennis bellissimo grazie alla capacità di rendere efficace la bellezza. E tutto ciò è andato in scena nell’era di massima mediatizzazione del tennis e dei suoi protagonisti.

Oggi non si è ritirato Roger Federer,si è ritirato IL TENNIS. — Adriano Panatta (@AdrianoPanatta)
September 15, 2022

In più il suo tennis è diventato via via simbolico della grazia che ha la meglio sulla fisicità assoluta: non per nulla un genio assoluto come Nadal ha dovuto tentare di copiare qualcosa del suo gioco e del suo tocco per potenziare il suo personaggio; e c’è pure riuscito.
Per tutti questi motivi il ritiro di Roger ha avuto un impatto emotivo unico. A pensarci bene l’identificazione emotiva e stilistica fra il campione e il suo popolo ha avuto un solo precedente clamoroso: l’addio di Francesco Totti al calcio con la ben nota messa da quasi-requiem che si tenne all’Olimpico.
Non per niente Roger e Totti sono sempre stati amici, anche se c’è da scommettere che il matrimonio con Mirka, elogiata urbi et orbi nell’annuncio social del ritiro (“Voglio ringraziare la mia straordinaria moglie Mirka, che ha vissuto ogni minuto con me”) non farà la fine di quello del pupone e Ilary, anche se Roger è testimonial Rolex.
Il ritiro del simbolo-Roger non è la fine dello show: è l’interruzione di una speranza. Quella che la bellezza possa vincere il tempo o almeno limitarne i nefasti effetti.
Se Roger non gioca più non ci si limita al dispiacimento perché viene a mancare un grande interprete di una disciplina sportiva: viene meno un artista che grazie a volèe e smash, alla Sabr e ai tweener andava molto oltre il circense, proponeva uno stile che nella sua trasparenza era invito alla festa per tutti.
Non come il talento folle di McEnroe, la calcolata o la perfida superiorità di Laver: al gioco di Roger potevi ambire, almeno nei sogni. Certo: tutti ora metteranno l’accento sull’aggettivo “grande” dimenticando che Roger è anche “svizzero” e ha deciso di uscire di scena con un tempismo che a molti potrebbe non piacere ma dettato da esigenze di business: chiudendo cioè l’attività alla sua Laver Cup, evento-show da lui fondato ma piuttosto avulso dal circus internazionale che quest’anno, tra l’altro, rischiava di passare un po’ in sordina.
Ha unito utile a (insomma) dilettevole. I più avrebbero voluto un’uscita di scena magari nella sua Basilea oppure a Wimbledon 2023. Ma anche in questo, in fondo, Roger ha voluto sorprendere con il gesto più difficile compiuto con il massimo della naturalezza, more solito.
A noi italiani dispiace solo, e tanto, che non abbia mai vinto gli Internazionali di Roma. Ma anche in questo caso Roger ha trovato il modo di vincere pur perdendo: disputando contro Nadal la finale più roboante di sempre (nel 2006) che si si concluse al quinto set dopo che lo svizzero (anche in quel caso) fallì due matchpoint in modo clamoroso.
Alla celebrazione per il suo ingresso nella Hall Of Fame di Newport Pete Sampras ebbe a dire: “In fondo sono stato solo un tennista”. Frase che Federer non potrà mai pronunciare. Perché è stato un tennista che ha elevato il suo sport a rango di simbolo sociale e di speranza. Per questo a Roger si è voluto e si vuole bene.

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