Adesso che disponiamo di un preprint, possiamo cominciamo a dare un’occhiata a qualche documento un po’ meglio organizzato per valutare la reale bontà del vaccino in sviluppo clinico di ReiThera, attualmente in fase 2, ma i cui risultati di fase 1 sono stati annunciati in pompa magna dall’azienda e da tutte le istituzioni – comprese quelle che dovrebbero vigilare su di esso – il 5 gennaio 2021.
A suo tempo, il 7 gennaio, quando notai che l’attività anticorpale non sembrava nemmeno raggiungere quella indotta dall’infezione naturale, Magrini, direttore di Aifa (in prima linea nella promozione di un vaccino che dovrebbe poi giudicare) negò la cosa in televisione. Così scrivevo allora: “Ho affermato che, dai dati intravisti in conferenza stampa, il vaccino di ReiThera sembra non raggiungere il livello di immunizzazione indotto dall’infezione naturale (al contrario di altri vaccini). Il direttore generale dell’Aifa, Nicola Magrini, con me in trasmissione, ha invece affermato esattamente il contrario. […] Per quel che riguarda il titolo anticorpale, si osserva che a 4 settimane si raggiunge quasi il livello dei convalescenti, ma si rimane al di sotto di quello. Peraltro non vi è dose dipendenza, visto che tutte le tre dosi di vaccino sembrano comportarsi allo stesso modo, e questo è abbastanza strano. Per quel che riguarda gli anticorpi neutralizzanti, la dose dipendenza è evidente, ma è pure evidente che non si raggiunge nemmeno lontanamente il livello dei convalescenti a nessuna delle dosi utilizzate; dunque il vaccino, alle modalità di utilizzo cui si riferiscono i dati presentati, è di gran lunga peggiore del virus nell’indurre anticorpi neutralizzanti”.
Bene: letto oggi il preprint di ReiThera, le mie osservazioni originali sono pienamente verificate. Per giustificare la differenza con gli altri vaccini, nel documento si dice che non è possibile fare confronti diretti, ma soprattutto – e questo è davvero un bel trucco – si divide il gruppo di controllo costituito da chi si è infettato in due, ospedalizzati e non ospedalizzati, per poi sostenere che sì, non si raggiunge il livello di anticorpi degli ospedalizzati, ma invece si ha una risposta comparabile a quella dei non ospedalizzati. Ci mancherebbe altro: se seleziono appositamente convalescenti che hanno una risposta minore, potrei replicare lo stesso ragionamento all’infinito, ma tutti gli altri vaccini sono stati messi a confronto con popolazioni eterogenee di convalescenti, con alti numeri di ospedalizzati, mica con chi aveva avuto una forma più lieve di malattia… Insomma, dai dati presentati si conferma come questo, per il momento, appaia il peggiore dei vaccini adenovirali in quanto a capacità di indurre una risposta anticorpale utile.
Restano inoltre valide tutte le altre obiezioni fatte, con qualche aggiunta di passaggio: per esempio, perché nel valutare la tanto decantata risposta di tipo T (cellulare) non sono presenti gruppi di controllo, costituiti ancora una volta da pazienti che si sono naturalmente infettati?
Vi è poi un elemento curioso davvero, che riguarda il ruolo dello Spallanzani e i suoi rapporti con ReiThera. Dal protocollo del trial di fase 1 annesso al preprint, congruente in questo con quello presente sul sito di Aifa, apprendiamo che: “Irccs Inmi Spallanzani owns the property of the Imp lot #Rl20-0024”. Cioè, il trial è finanziato dallo sponsor (ReiThera), ma lo Spallanzani è proprietario del lotto vaccinale usato per gli esperimenti. Che significa? Che lo Spallanzani ha pagato ReiThera per il vaccino da utilizzare in un trial di interesse di ReiThera? Oppure in che modo lo Spallanzani risulta proprietario di un lotto di vaccino, che comunque poi utilizza in favore di ReiThera?
Sempre guardando al protocollo annesso al preprint, si scopre poi che tutte le scadenze inizialmente previste per la sperimentazione (così come indicate nel documento presente nel sito di Aifa) sono state eliminate; si elencano cioè le attività previste, ma spariscono i termini entro le quali devono essere concluse. E a proposito di protocolli: se esaminiamo quello dello studio attualmente in corso, scopriamo che si tratta di una prova contro placebo, con la possibilità per i pazienti cui venga offerta la vaccinazione con un prodotto già sul mercato di uscire dal trial e vaccinarsi con qualcosa di sicuro. Ma quando inizierà la fase 3, la campagna vaccinale italiana dovrebbe essere a buon punto, e a maggior ragione durante il tempo che tale sperimentazione impiegherà; è improbabile, quindi, che da un punto di vista etico e pratico la cosa possa avere senso.
Un vaccino che, sulla base di quanto oggi noto, funziona peggio di altri nell’indurre anticorpi protettivi; scadenze che spariscono dai protocolli; studi che dovranno arruolare volontari disposti a iniettarsi un placebo, mentre la campagna vaccinale dovrebbe già essere sufficientemente avanti da vaccinarli; passaggi di proprietà dei lotti di vaccino tra Spallanzani e ReiThera.
Quanto otterrebbe da investitori privati un progetto che si presentasse così?
A valle dell’ovvia risposta a questa domanda, prima o poi qualcuno dovrà pur spiegare ai cittadini e alla comunità scientifica perché a ReiThera sono arrivati 8 + 81 milioni di euro di finanziamento, con l’ingresso al 30 per cento dello stato e il finanziamento della ricerca clinica e della produzione futura di questo vaccino.