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Trump e i dazi contro la Cina, ecco i numeri che rendono la guerra pericolosa e impossibile da vincere – Il Sole 24 ORE

Ago 24, 2019

ServizioServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùil conflitto commerciale con pechino

Stati Uniti e Cina appaiono artefici e prigionieri di un conflitto commerciale sempre più duro e a rischio di degenerare in crisi fuori controllo dopo 24 ore di rappresaglie, minacce e nuove ritorsioni. I numeri raccontano una travagliata relazione oggi ostaggio del caos

di Marco Valsania

24 agosto 2019


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(Ansa/Ap)

5′ di lettura

NEW YORK – Stati Uniti e Cina appaiono artefici e prigionieri di un conflitto commerciale sempre più duro e a rischio di degenerare in crisi fuori controllo dopo 24 ore di rappresaglie, minacce e nuove ritorsioni. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato ieri sera un nuovo doppio colpo: alzerà al 30% dall’attuale 25% il balzello contro 250 miliardi di dollari di beni industriali cinesi destinati al mercato americano a partire dal primo ottobre. E al 15% dal 10% dazi in arrivo dal primo settembre e da metà dicembre su quasi 300 miliardi di dollari in beni consumo made in China. Trump ha anche e soprattutto “ordinato” alle imprese statunitensi di abbandonare la Cina, di «cominciare a trovare alternative» per le loro attività nella potenza asiatica. «Non abbiamo bisogno della Cina», ha twittato. Tutto questo dopo che Pechino aveva annunciato dazi tra il 5% e il 10% su 75 miliardi di dollari di made in Usa, in parte a settembre e i rimanenti a dicembre, e del 25% contro auto e componentistica americana dall’ultimo mese dell’anno in ritorsione alle precedenti azioni americane contro i quasi 300 miliardi di dollari del suo export in beni di consumo.

La preoccupazione che lo scontro commerciale genera è legata alle cifre coinvolte nel braccio di ferro tra le due maggiori potenze economiche al mondo. Ma anche al pericolo che lo scontro sfugga di mano, a incertezze considerate degli analisti ancora più gravi dei dazi stessi e che scatenino effetti a cascata sulle imprese, i loro investimenti e la salute di un settore manifatturiero e di un’espansione globali già indeboliti. In assenza di un accordo o di tregue, questo spettro minaccia solo di aggravarsi, con poche bacchette magiche per esorcizzarlo. La Federal Reserve, per bocca del suo chairman Jerome Powell dal Simposio di Jackson Hole, ha dichiarato a chiare lettere di poter fare ben poco quando in gioco è il terreno minato dell’interscambio, nonostante le pressioni e gli attacchi di Trump allo stesso Powell brandito come un «nemico» del Paese perché sarebbe inetto.

«Nonostante la politica monetaria sia uno strumento potente – ha risposto a distanza e pacatamente Powell – che funziona per sostenere la spesa al consumo, gli investimenti di business e la fiducia del publico, non può fornire un libro di regole provate per il commercio internazionale».

Anche una separazione – un cosiddetto “decoupling” – tra le due economie cui Trump è parso alludere con il suo editto rivolto alle socetà Usa appare oggi difficile e promette un avvenire a caro prezzo, soprattutto se tra strappi e traumi. Un’alta posta in gioco che è, ancora una volta, nei numeri che raccontano una travagliata relazione oggi ostaggio del caos.

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I giorni finora della lunga guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Era cominciata il 6 luglio del 2018, con l’entrata in vigore di una prima raffica di dazi statunitensi contro il made in China. La dogana americana comincia a richiedere nuovi balzelli su una prima lista di 818 prodotti cinesi valutati 34 miliardi di dollari.

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