• 1 Ottobre 2024 6:23

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Trascorrere 40 mila anni, vivi e vegeti: il caso di Pando in Utah

Ott 1, 2024

Che cos’è davvero l’invecchiamento? È una domanda a cui la maggior parte di noi risponderebbe pensando alla nostra stessa esperienza: il corpo umano che invecchia, le rughe che compaiono sulla pelle, la forza fisica che diminuisce, i capelli che diventano grigi. Invecchiare, per noi esseri umani e per la maggior parte degli animali, significa affrontare un inevitabile declino fisico, un progressivo deterioramento delle capacità del corpo che culmina nella morte. Tuttavia, la risposta a questa domanda cambia radicalmente se guardiamo all’invecchiamento dal punto di vista delle piante, che ci mostrano una via molto diversa, quasi magica, di affrontare il tempo e la vita.

In un loro recente articolo, Darya Volkava e Karel Riha ci spiegano come il concetto di invecchiamento per le piante sia qualcosa di molto diverso rispetto agli animali. Mentre per gli animali l’invecchiamento è un processo in cui ogni parte del corpo inizia gradualmente a funzionare meno bene, nelle piante questo percorso non segue le stesse regole. Infatti, molte piante riescono a vivere per migliaia di anni senza mostrare segni evidenti di declino. Un esempio straordinario è Pando, una foresta di pioppi tremuli che si trova nello Utah, negli Stati Uniti.

Pando sembra una normale foresta composta da circa 47 mila alberi, ma in realtà è un unico organismo vivente. Quelli che a noi appaiono come alberi diversi sono in realtà parti di un unico individuo collegato da un’unica rete di radici sotterranea, formando quello che gli scienziati chiamano un “super-organismo”. Pando potrebbe esistere da almeno 14 mila anni, forse anche da 40 mila anni, il che significa che è più vecchio di qualsiasi creatura vivente sulla Terra (oltre ad essere l’essere vivente con la massa maggiore sin qui ritrovata). Questo è possibile grazie alla particolare strategia di crescita delle piante, che permette loro di rigenerarsi continuamente, sfidando il concetto tradizionale di invecchiamento. Mentre infatti l’invecchiamento negli animali porta inevitabilmente a un declino delle funzionalità, le piante adottano una strategia completamente diversa: la rigenerazione continua. Pando, ad esempio, non invecchia tutto insieme come un singolo animale. I suoi alberi-propaggine muoiono, le foglie cadono in autunno, ma ogni parte viene sostituita da una nuova. Le radici, il vero cuore della foresta, rimangono attive e continuano a far crescere nuovi tronchi. Questa capacità di rigenerarsi è possibile grazie a speciali cellule chiamate “cellule staminali meristematiche”.

 

                                      

 

Queste cellule sono come delle piccole fabbriche sempre operative. Le piante, a differenza degli animali, mantengono un gruppo di cellule staminali che non subisce “senescenza replicativa”, il processo per cui le cellule perdono la capacità di dividersi col tempo. Nei meristemi, che sono regioni di crescita situate nelle punte dei rami e delle radici, le cellule staminali possono continuare a dividersi e produrre nuove cellule indefinitamente, mantenendo la capacità di crescere e rigenerarsi. Per questo motivo, le piante come Pando riescono a sfuggire alla morte e possono potenzialmente vivere per migliaia di anni senza subire un declino significativo.

Come sottolineato dagli autori, quindi, la senescenza nelle piante non deve essere confusa con l’invecchiamento degli animali. La senescenza nelle piante è, infatti, un processo modulare e mai simultaneo, che riguarda solo parti specifiche dell’organismo e non l’intero organismo. Le foglie cadono in autunno come parte di un processo di riciclo delle risorse, e in primavera la pianta produce nuove foglie. Questo ciclo permette alla pianta di continuare a crescere e riprodursi senza mai arrivare alla “fine” come succede agli animali. In altre parole, mentre per gli animali l’invecchiamento significa un progressivo deterioramento di tutto l’organismo, un processo più o meno simultaneo e catastrofico, per le piante è un processo che coinvolge solo alcune parti, lasciando intatta la capacità della pianta di rigenerarsi e crescere.

Un’altra caratteristica importante delle piante è la loro crescita “modulare”. Le piante sono composte da tanti piccoli moduli, come foglie, rami e radici, che possono essere sostituiti se danneggiati. È come se una pianta fosse fatta di tanti piccoli blocchi, simile a un edificio fatto di parti sostituibili: se una parte si rovina, basta sostituirla senza compromettere la struttura dell’intero edificio. Questo tipo di crescita modulare permette alle piante di sopportare danni anche gravi, di riparare le parti danneggiate e di continuare a vivere. 

Volkava e Riha sottolineano che Pando è un esempio straordinario di questa strategia di crescita, anche se, come fanno notare gli autori, questa longevità non è garantita: ci sono molti fattori esterni, come malattie, competizione per la luce o interventi umani, che possono limitarne la vita.

L’estrema longevità di individuale ci porta a riflettere sull’impatto che essa ha sull’evoluzione di una specie di pioppo come quella cui appartiene Pando. La maggior parte degli organismi affronta un ciclo di vita con una durata limitata, in cui la nascita, la crescita, la riproduzione e la morte permettono alle generazioni successive di accumulare nuove variazioni genetiche, guidando l’adattamento e l’evoluzione della specie. Per organismi come Pando, invece, la riproduzione clonale e la lunga vita significano una minore introduzione di variabilità genetica, a parità di biomassa considerata. Questo potrebbe sembrare uno svantaggio, perché limita la capacità della popolazione di rispondere rapidamente ai cambiamenti ambientali attraverso la selezione naturale. 

Tuttavia, lo svantaggio in questione può essere superato grazie all’importanza della plasticità fenotipica per garantire la sopravvivenza di individui vegetali. La plasticità fenotipica è la capacità di un organismo di modificare il proprio fenotipo – l’insieme delle caratteristiche visibili – in risposta a cambiamenti ambientali, senza alterare il genotipo, cioè la sua informazione genetica di base. Questo è fondamentale per il successo della riproduzione clonale, che non introduce variazioni genetiche tramite la riproduzione sessuale: la plasticità fenotipica consente di adattarsi alle diverse condizioni ambientali, modificando la propria forma e funzione per sopravvivere meglio. Per Pando e per altre piante clonali e longeve, la possibilità di cambiare in modo flessibile le proprie caratteristiche è ciò che consente di rispondere agli stress ambientali senza dover necessariamente introdurre nuove varianti genetiche.

Queste considerazioni ci portano a una riflessione più ampia sull’evoluzione e sul suo significato per la sopravvivenza di una specie. La sopravvivenza, cioè, non è solo una questione di adattamento continuo e rapido attraverso la selezione delle migliori varianti genetiche, nel classico meccanismo evolutivo delle popolazioni, ma anche di trovare un equilibrio tra stabilità genotipica e capacità di risposta. Organismi come Pando mostrano che esiste almeno un’alternativa in grado di garantire la sopravvivenza: da una parte, la longevità e la crescita clonale possono garantire una stabilità incredibile, mentre dall’altra la plasticità fenotipica diventa essenziale per sopravvivere ai cambiamenti senza l’introduzione di nuove mutazioni genetiche.

In definitiva, l’esistenza di piante come Pando ci obbliga a ripensare cosa sia necessario ad una specie per sopravvivere. La velocità di evoluzione genetica di una popolazione può essere ridotta davvero a livelli minimi; si può infatti mantenere un’incredibile stabilità e resilienza, adattandosi all’ambiente grazie alla plasticità del proprio fenotipo quasi immortale, fermando o rallentando tantissimo l’evoluzione della specie.

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