• 24 Dicembre 2024 17:37

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Tra intelligenza artificiale, coevoluzione e autodomesticazione

Dic 3, 2024

La coevoluzione tra esseri umani e intelligenza artificiale rappresenta un processo complesso che va ben oltre il miglioramento tecnico. Non si tratta semplicemente di sviluppare sistemi più efficienti o performanti, ma di affrontare una trasformazione profonda delle dinamiche cognitive, sociali e culturali che definiscono la nostra interazione con il mondo. La relazione tra uomo e IA è caratterizzata da un continuo adattamento reciproco: l’IA apprende e si modifica in base ai dati umani, mentre le persone cambiano il loro modo di pensare e agire influenzate dalle capacità, dai limiti e dagli obiettivi delle tecnologie che utilizzano.

 

Un concetto chiave per comprendere questo fenomeno è quello di autodomesticazione. Storicamente, l’autodomesticazione si riferisce al processo evolutivo attraverso cui gli esseri umani hanno selezionato tratti comportamentali e cognitivi più cooperativi e meno aggressivi per vivere in società sempre più complesse. Questo ha portato a una trasformazione che non è solo biologica, ma anche culturale e cognitiva, rendendo l’uomo capace di costruire relazioni sociali più stabili e strutture organizzative più avanzate. Applicato al contesto della relazione tra uomo e IA, l’autodomesticazione descrive un processo bidirezionale in cui le tecnologie vengono adattate alle esigenze umane, mentre gli esseri umani si trasformano in risposta ai nuovi strumenti e alle logiche che queste tecnologie introducono.

 

L’IA, tuttavia, non è neutrale. È progettata per raggiungere obiettivi specifici, che possono essere legati a diverse logiche, come l’efficienza, l’automazione di compiti complessi o l’ottimizzazione dell’interazione con gli utenti. Da un lato, le tecnologie intelligenti possono facilitare la cooperazione, migliorare la capacità decisionale e ampliare l’accesso alle informazioni. Ad esempio, i modelli di linguaggio come ChatGPT possono facilitare la creazione di testi complessi o rispondere a domande specifiche, migliorando la produttività e il supporto informativo. Allo stesso modo, i sistemi di riconoscimento delle immagini utilizzati in diagnostica medica, come quelli sviluppati da Google Health, possono supportare i medici nel rilevare malattie in modo più rapido e accurato. Dall’altro lato, però, l’IA rischia di confinare gli individui in dinamiche predefinite che rafforzano pregiudizi, limitano la diversità di prospettive e promuovono comportamenti impulsivi. Un esempio sono i modelli di linguaggio addestrati su dati pregiudizievoli, che possono perpetuare stereotipi e discriminazioni esistenti, oppure i sistemi di raccomandazione basati sull’engagement che, ottimizzando per il tempo di permanenza, creano bolle di filtraggio e alimentano la polarizzazione. Gli algoritmi, ottimizzando sulla base di dati esistenti, tendono a perpetuare le disuguaglianze e le dinamiche sociali già presenti, rendendo difficile l’emergere di nuovi modelli culturali o sociali.

 

Parallelamente, l’autodomesticazione umana implica una trasformazione cognitiva. Le persone, esposte continuamente a sistemi che semplificano decisioni o guidano comportamenti, sviluppano una crescente dipendenza dagli strumenti digitali. Questo può ridurre l’autonomia decisionale e la capacità critica, orientando il pensiero verso schemi predefiniti. Tuttavia, in alcuni contesti, questa stessa interazione può stimolare nuove competenze, come l’abilità di navigare in ambienti informativi complessi o di collaborare su scala globale. È un equilibrio fragile, dove il beneficio o il danno dipendono dalle scelte di progettazione tecnologica e dai contesti culturali in cui le tecnologie vengono utilizzate. Anche le tecnologie stesse subiscono un processo che potremmo a buon diritto definire di autodomesticazione. Gli algoritmi di apprendimento continuo, che si adattano ai dati umani, migliorano progressivamente la loro capacità di rispondere alle esigenze degli utenti. Tuttavia, l’adattamento delle tecnologie è spesso indirizzato da bias e senso comune, il che limita il loro potenziale per affrontare sfide più ampie come la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale o la diversità culturale.

 

Eppure, il processo di autodomesticazione non è intrinsecamente negativo. Se orientato in modo consapevole, può favorire un’evoluzione positiva, capace di valorizzare le capacità umane e di affrontare le sfide più urgenti del nostro tempo. Questo richiede però una trasformazione culturale e politica, in cui la progettazione tecnologica non sia guidata esclusivamente da logiche di mercato e da obiettivi tecnologici specifici, ma incorpori valori come la giustizia sociale, la sostenibilità e la molteplicità di opinioni. Le tecnologie possono essere progettate per ampliare le opportunità cognitive, promuovere decisioni collettive più equilibrate e favorire un uso delle risorse più responsabile. Raggiungere questo obiettivo implica una visione critica e una governance partecipativa che metta al centro non solo l’efficienza, ma il benessere collettivo; ciò, ovviamente, appare particolarmente utopistico e difficile, tanto nel caso delle AI create e detenute da aziende, quanto nel caso di quelle potenzialmente “pubbliche”, controllate da governi e istituzioni.

 

In definitiva, la coevoluzione uomo-IA è una dinamica aperta, il cui esito dipenderà dalle scelte che faremo come società. Potremmo trovarci in un mondo dove le tecnologie rafforzano disuguaglianze e modelli di potere concentrati, oltretutto a scapito delle capacità cognitive umane medie, ma anche e in alternativa in un ecosistema cognitivo e sociale in cui l’intelligenza artificiale diventa uno strumento per ampliare la comprensione e la cooperazione umana. Quali saranno le conseguenze della coevoluzione tra esseri umani e intelligenza artificiale sul nostro modo di pensare e agire, e come influirà il corrispondente processo di autodomesticazione sulle nostre capacità cognitive e sociali?

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