Toyota apre le porte del mercato giapponese all’America. A seguito degli accordi politici instaurati negli scorsi mesi tra i due paesi, il Brand cede alle richieste di Donald Trump e alla sua linea dura sul commercio internazionale. Si rivedono cosi le strategie consolidate da decenni di un marchio che ha fatto della produzione domestica un simbolo identitario, segnando un passaggio storico.
Tre modelli per il 2026
Tre sono i modelli in arrivo nel mercato giapponese. Si tratta della berlina Camry, uscita di scena in Giappone nel 2023, del SUV Highlander, ritirato addirittura nel 2007, e del pickup Tundra, completamente inedito per il pubblico nipponico. Modelli molto diversi tra loro, ma sopratutto diversi da quello che è il gusto del mercato giapponese, poco incline a dimensioni e impostazioni tecniche cosi massicce.
Per quanto la Camry come modello rappresenti un ritorno alle origini, la veste è ormai quella di un modello dall’impronta americana, sensazione che si ha ancor di più con i modelli Highlander e Tundra, che stonano con la cultura di auto green compatte e strade strette tipica del paese. Non a caso, Toyota parla di un’operazione graduale, pensata più come segnale politico-industriale che come rivoluzione immediata dei volumi di vendita.
Evitare le sanzioni di Trump
Il contesto è chiaro. Washington accusa da tempo il Giappone di mantenere barriere non tariffarie che rendono difficile l’ingresso delle auto americane nel Paese. Un’accusa che si è tradotta, negli ultimi anni, in una serie di pressioni dirette e indirette, culminate con l’inasprimento dei dazi sulle auto giapponesi importate negli Stati Uniti. Le tariffe volute da Trump sono arrivate a toccare il 27,5%, prima di essere ridimensionate al 15% lo scorso settembre. Una montagna russa che ha pesato, e non poco, sui conti dei costruttori nipponici.
Durante il vertice di Tokyo dello scorso ottobre, il Giappone si è impegnato ad accettare veicoli certificati negli Stati Uniti senza ulteriori test di omologazione. Un passaggio chiave, che apre la strada proprio a operazioni come quella annunciata da Toyota. In questo modo, il marchio può ribilanciare i flussi commerciali, ridurre l’esposizione ai dazi e dimostrare una collaborazione concreta con l’amministrazione americana. Non a caso sembrerebbe che anche Honda e Nissan starebbero valutando strategie simili.
Le preferenze dei giapponesi
Resta però un nodo centrale: il mercato. Perché se la politica spinge in una direzione, i consumatori giapponesi vanno spesso in quella opposta. Le ricerche di settore raccontano di un Giappone in cui continuano a dominare le auto compatte, ibride ed efficienti, perfettamente adattate alla vita urbana. Le vetture americane, al contrario, vengono spesso percepite come troppo grandi e inadatte alle infrastrutture localii.
I numeri lo confermano. Secondo i dati della Japan Automobile Importers Association (Jaia), nel 2024 sono state importate circa 230.000 auto straniere, pari a poco più del 5% delle immatricolazioni totali. Una quota stabile, ma lontanissima dai livelli europei. È qui che Toyota gioca la sua partita più delicata: convincere il pubblico giapponese che modelli nati per gli USA possano trovare una nuova identità anche in patria. Non sarà semplice, ma il marchio sa di avere un vantaggio competitivo fondamentale: la fiducia dei clienti.
In definitiva, l’operazione Toyota racconta molto del futuro dell’auto globale. Meno confini rigidi, più compromessi politici e una produzione sempre più intrecciata con la geopolitica.