AGI – Hanno 54 anni e un po’ li dimostrano: i Giochi della Gioventù, le Olimpiadi di massa degli studenti nate nel 1969 da un’intuizione di Giulio Onesti e per due volte interrotte, nel 1996 e da ultimo nel 2017, torneranno dal prossimo anno a mettere insieme i ragazzi delle scuole dell’obbligo. I “nuovi Giochi” saranno “un’opportunità di socialità in cui entreranno anche i temi dell’alimentazione, della salute, dell’ambiente, della disabilità e delle pari opportunità”, ha spiegato il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi.
Nell’immaginario di intere generazioni oggi Over 40 i Giochi della gioventù sono un ricordo prezioso: che fosse una corsa campestre o una gara di salto in alto, tanti ex alunni ripensano con affetto a quella che per gran parte di loro è stata l’unica esperienza di sport agonistico di una vita. Con le loro fasi comunali, provinciali, regionali e nazionali (per i più grandi), i Giochi fino agli anni ’90 sono stati una competizione che ha unificato il Paese favorendo viaggi, conoscenze e amicizie nell’era ante-Internet, un po’ come le colonie estive oppure il Trofeo Topolino, per restare allo sport e a un’epoca più recente.
I Giochi nacquero sulla scia della delusione per il flop alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 (appena tre ori): a parteciparvi erano gli studenti dai 7 ai 17 anni che nel mese di maggio si ritrovavano a competere per una medaglia, semplici trofei con stampati dei disegni infantili. Semplici erano anche le magliette e i cappellini che venivano distribuiti agli atleti, suddivisi per colore in base all’età, e il simbolo stesso dei Giochi, un omino stilizzato fatto con un nastro.
Negli anni ’70 sono arrivati a coinvolgere quasi due milioni di ragazzi e ragazze in 50 discipline sportive e alle finali allo stadio Olimpico assistevano decine di migliaia di spettatori. Negli anni ’80 e ’90 i Giochi della Gioventù sono stati una miniera per lo sport azzurro perché hanno fatto emergere tanti campioni, nell’atletica e non solo.
L’obiettivo era avvicinare i ragazzi alla pratica dello sport ‘povero’ e puro dell’atletica leggera: le discipline spaziavano tra velocità, con le staffette, e poi il mezzofondo, il salto in alto, il salto in lungo, il getto del peso e il lancio del giavellotto o ‘vortex’. La gara regina era però la corsa campestre, che si disputasse su sentieri fangosi o strade polverose, temuto banco di prova per gli atleti in erba che arrivavano distrutti al traguardo.
Dopo l’interruzione del 1996, i Giochi erano tornati nel 2007 ma senza le fasi nazionali per accentuarne il carattere partecipativo e non agonistico. Nel 2017 erano stati nuovamente sospesi dopo che l’edizione precedente aveva avuto meno di 400mila partecipanti. Ora si riparte: ai blocchi di partenza ci saranno i ragazzi della generazione Alpha, con qualche genitore o nonno a osservarli con nostalgia.
AGI – Hanno 54 anni e un po’ li dimostrano: i Giochi della Gioventù, le Olimpiadi di massa degli studenti nate nel 1969 da un’intuizione di Giulio Onesti e per due volte interrotte, nel 1996 e da ultimo nel 2017, torneranno dal prossimo anno a mettere insieme i ragazzi delle scuole dell’obbligo. I “nuovi Giochi” saranno “un’opportunità di socialità in cui entreranno anche i temi dell’alimentazione, della salute, dell’ambiente, della disabilità e delle pari opportunità”, ha spiegato il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi.
Nell’immaginario di intere generazioni oggi Over 40 i Giochi della gioventù sono un ricordo prezioso: che fosse una corsa campestre o una gara di salto in alto, tanti ex alunni ripensano con affetto a quella che per gran parte di loro è stata l’unica esperienza di sport agonistico di una vita. Con le loro fasi comunali, provinciali, regionali e nazionali (per i più grandi), i Giochi fino agli anni ’90 sono stati una competizione che ha unificato il Paese favorendo viaggi, conoscenze e amicizie nell’era ante-Internet, un po’ come le colonie estive oppure il Trofeo Topolino, per restare allo sport e a un’epoca più recente.
I Giochi nacquero sulla scia della delusione per il flop alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 (appena tre ori): a parteciparvi erano gli studenti dai 7 ai 17 anni che nel mese di maggio si ritrovavano a competere per una medaglia, semplici trofei con stampati dei disegni infantili. Semplici erano anche le magliette e i cappellini che venivano distribuiti agli atleti, suddivisi per colore in base all’età, e il simbolo stesso dei Giochi, un omino stilizzato fatto con un nastro. Negli anni ’70 sono arrivati a coinvolgere quasi due milioni di ragazzi e ragazze in 50 discipline sportive e alle finali allo stadio Olimpico assistevano decine di migliaia di spettatori. Negli anni ’80 e ’90 i Giochi della Gioventù sono stati una miniera per lo sport azzurro perché hanno fatto emergere tanti campioni, nell’atletica e non solo. L’obiettivo era avvicinare i ragazzi alla pratica dello sport ‘povero’ e puro dell’atletica leggera: le discipline spaziavano tra velocità, con le staffette, e poi il mezzofondo, il salto in alto, il salto in lungo, il getto del peso e il lancio del giavellotto o ‘vortex’. La gara regina era però la corsa campestre, che si disputasse su sentieri fangosi o strade polverose, temuto banco di prova per gli atleti in erba che arrivavano distrutti al traguardo. Dopo l’interruzione del 1996, i Giochi erano tornati nel 2007 ma senza le fasi nazionali per accentuarne il carattere partecipativo e non agonistico. Nel 2017 erano stati nuovamente sospesi dopo che l’edizione precedente aveva avuto meno di 400mila partecipanti. Ora si riparte: ai blocchi di partenza ci saranno i ragazzi della generazione Alpha, con qualche genitore o nonno a osservarli con nostalgia.