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Torino: “Io, malata di coronavirus da un mese e dimenticata dall’Asl: mi hanno solo detto ‘aspetti che passi’ “

Apr 17, 2020

Le segnalazioni perse per i sospetti casi di coronavirus non sono limitate solo alla prima fase dell’emergenza a Torino. Lo si può capire ascoltando il racconto di L, operatrice di un grande call center della città che dal 13 marzo è a casa con febbre alta, mal di gola e mal di testa.

“Da oltre un mese ho i sintomi tipici del coronavirus, ma sono sono sola in casa, senza diagnosi, né cure. E l’Asl di Torino ha anche perso il mio caso – spiega – Non ho avuto difficoltà respiratorie e per questo non sono stata ricoverata, ma ciò che è assurdo è che mi abbiano dato tachipirina e antibiotici senza mai farmi il tampone per capire se fossi davvero positiva al Covid-19“.

Fino a un mese fa lei ha continuato a lavorare: “I call center sono quelle attività che il governo nei suoi numerosi Dpcm ha ritenuto essenziali – spiega – Abbiamo continuato a lavorare anche dopo che il contagio si era diffuso in circa 460 persone su tre piani, in modalità open space: la disposizione a scacchiera è stata introdotta solo il 10 marzo, ma nemmeno il metro di distanza è stato subito rispettato. Come se fosse sufficiente, poi, a salvaguardare la nostra salute quando siamo chiusi in un unico spazio”.

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Per lei il contagio però c’è evidentemente stato, anche se non è mai arrivato il tampone di conferma: “Il 13 marzo mi ammalo. Mi sale la febbre, mal di gola e mal di testa oltre a spossatezza e dolori alle ossa e muscolari. I classici sintomi influenzali. Essendo venerdì sera, inizialmente chiamo il numero verde della Regione Piemonte dedicato all’emergenza Covid-19 – racconta – Dopo una breve intervista, mi viene comunicato che potrebbe trattarsi di coronavirus e vengo invitata a chiamare la guardia medica. Dopo lunghe attese riesco a parlare con la guardia medica di Torino che mi prescrive due giorni di malattia e una terapia a base di tachipirina, rimandandomi al mio medico di base. A quest’ultimo, telefonicamente comunico la mia condizione: durante il mattino la febbre rimane sui 37,4, ma dal pomeriggio in poi aumenta, arrivando a 37,8”.

In una settimana però la situazione peggiora: “Il 21 marzo arrivo a 38,7 e lunedì 23 il mio medico mi segnala all’Asl come sospetto caso di Covid-19. Tuttavia, mi informa che in Piemonte non ci sono tamponi. Inizio così una terapia antibiotica, sempre su sua prescrizione, sperando in un miglioramento. Durante i successivi sei giorni della terapia antibiotica la febbre non scompare, attestandosi su una media di 37,8°. Finita la terapia, la febbre rimane su una media di 37,7”.

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Dal suo racconto si riesce a ricostruire come il caos delle segnalazioni via email, andate perse dall’Asl di Torino, non sia legato solo alla prima fase dell’emergenza: “Il primo aprile il mio medico di base inoltra una nuova segnalazione all’Asl, sollecitando quanto chiesto nella precedente, per far sì che qualcuno venga a farmi il tampone – ribadisce la donna – Di fronte alle chiamate ai vari numeri verdi le risposte sono varie: prima i tamponi a Torino non ci sono, poi arrivano ma mancano i reagenti, poi ancora arriva tutto ma si fanno solo in ospedale e io sono casa, non posso uscire. Alla fine mi dicono: ‘Aspetti che passi’. Le segnalazioni del mio medico non hanno avuto alcun seguito, nessuno mi ha mai contattata dal Servizio sanitario nazionale per sapere se fossi viva, per farmi il tampone e neanche misurarmi l’ossigeno”.

Non sapendo cosa fare L. arriva a contattare l’ospedale “Amedeo di Savoia”, “per provare a prenotare i tamponi e per verificare la mia positività o meno al virus”. La riposta però è di rivolgersi all’Ufficio di Igiene e Sanità: “Li chiamo e mi spiegano che nel fine settimana sono cambiati i portali delle segnalazioni in Piemonte: pertanto le mie, fatte dal mio medico, sono andate perse. L’operatore mi dice inoltre che devo far riaprire un’altra segnalazione dal mio medico, la terza, e che mi verrà aperta una procedura di quarantena, di attendere il codice che arriverà con raccomandata a/r, e che successivamente verranno a farmi il tampone”.

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Ancora l’8 aprile, però, il medico non trova segnalazioni di quarantena sul “portale dedicato” e nessuno ha risposto alle sue segnalazioni effettuate a nome di L.: “A lui l’Ufficio di Igiene e Sanità dice che non è stata aperta nessuna procedura di quarantena a mio nome né mai verrà aperta, in quanto non sono entrata in contatto con un positivo accertato. A me lo stesso operatore della volta prima conferma di aver aperto la procedura di quarantena, ma che non essendo stata ‘processata’, perché sono oberati di pratiche, non ha ancora una sua validità e un codice da fornirmi a garanzia di quanto dettomi e pertanto di avere fiducia e attendere”.

È passata un’altra settimana, la società per cui lavora L. nel frattempo ha convertito i giorni di malattia (mai convertiti in quarantena a causa del mancato intervento dell’Asl) in cassa integrazione e la febbre continua a non scendere: “Dall’Asl hanno anche detto che, visto che lavoro per una grande aziend, avrebbero dovuto occuparsene loro tramite il medico aziendale – aggiunge la donna – A tutt’oggi ho ancora la febbre, anche se in fase discendente, e nessuno si è fatto sentire e o vedere. Ora mi chiedo anche:quando il mio medico di base dirà che sono guarita e non ho più diritto alla malattia dovrò tornare al lavoro? Non so come mi devo comportare se nessuno è venuto a farmi il tampone”.

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