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Torino, il regista Brockhaus accusa Graziosi: “Mi chiese una tangente da cinquemila euro”

Giu 4, 2020

Cinquemila euro in contanti come tangente per essere stato ingaggiato dal “suo” teatro. Dice proprio “tangente” Henning Brockhaus, il grande regista teatrale tedesco, padre della Traviata “degli specchi” realizzata in collaborazione con Josef Svoboda, l’opera che ancora oggi, dopo quasi trent’anni, ammalia le platee di tutto il mondo. “Eravamo nel suo ufficio e William Graziosi mi chiese cinquemila euro in contanti – racconta – io rimasi stupefatto e non reagii, ma sbagliai, avrei dovuto farlo. Dissi soltanto che non ci pensavo nemmeno e che ne avremmo discusso in un’altra sede”. Brockhaus è uno dei grandi accusatori dell’ex sovrintendente del Teatro Regio, ora indagato per corruzione e abuso d’ufficio dal pm Elisa Buffa della procura di Torino.

Cosa era accaduto? Perché Graziosi le chiedeva una tangente?

“È una vecchia storia che parte da Astana, quando Graziosi si spacciava per direttore artistico del teatro lirico del Kazakistan. Lui aveva venduto al Teatro la Traviata per 300 mila euro, ma i diritti intellettuali e artistici non erano suoi”.

Graziosi non era direttore artistico, in realtà?

“Non che mi risulti, era una specie di manager del teatro”.

E voleva rubarle la Traviata?

“Ci aveva già provato sette mesi prima, ma anche in quella occasioni riuscii a bloccarlo. Non l’ha fatto soltanto con me, anche altri artisti lo hanno accusato di aver provato a impossessarsi delle loro creazioni. Io, quella volta, venni a sapere da un baritono che era in programma la mia opera ad Astana. Ci incontrammo a Macerata e mi disse: ‘Allora poi ci vediamo in Kazakistan’. Caddi letteralmente dalle nuvole, scoprii poi dopo che aveva già affidato la regia a una sua collaboratrice.

Senza che io ne sapessi nulla. Mi chiamò un mese prima dello spettacolo, evidentemente sapeva di essere stato smascherato e mi chiese di dirigerla”.

Poteva essere stato solo un malinteso?

“Al contrario, ebbi poi la conferma di quali erano i suoi propositi. Partimmo senza contratto, nonostante gli avessimo chiesto più volte di inviarcelo in Italia. E quando arrivammo, lui mi sottopose un documento di ingaggio intestato alla società della moglie del manager dello spettacolo Alessandro Ariosi. Il contratto, alla fine di un lungo passaggio, diceva che io avrei rinunciato ai diritti intellettuali e artistici della mia opera”.

Quale fu la sua reazione?

“Ovviamente non firmai nulla e capii che lui aveva venduto l’opera al Teatro come sua e con quel contratto voleva chiudere la partita per non avere guai”.

Il Teatro di Astana avrebbe dovuto pagare dei diritti su quell’opera?

“Esattamente. La proprietà dell’opera è del Festival di Macerata che può concederla a condizione che chi la mette in scena sia autorizzato, e paghi una certa somma. Ma quei soldi li aveva intascati già lui, se avessi firmato il contratto che mi sottoponeva avrei ceduto ogni diritto alla società della moglie di Ariosi”.

Come prese Graziosi il suo rifiuto?

“Disse che mi avrebbe rovinato la carriera, e magari ci provò pure. Aveva un rapporto molto stretto con Alessandro Ariosi che è il manager più potente per quanto riguarda il mondo della lirica italiana. Ancora oggi gli artisti che Graziosi ingaggia a nome dei teatri, passano dall’agenzia di Ariosi, anche se non sono suoi artisti”.

Visto che i vostri motivi di dissidio risalgono ai tempi di Astana, sa come si chiuse il rapporto tra il teatro lirico kazako e William Graziosi?

“Quel che so io è che scappò dal Kazakistan, seppe che era finito nei guai e che volevano incriminarlo così prese un aereo di corsa e tornò in Italiia”.

Ha mai recuperato il compenso che le doveva?

“Siamo andati in tribunale e lui sostenne che avrei dovuto cedergli il 30 per cento del mio compenso. Una cifra folle e assurda. Alla fine dovetti cedergli il 18 per cento, mi pare. Però mi chiese una somma in contanti”.

Era ancora a Jesi?

“Sì, è successo a Jesi. Quando ho portato la Traviata a Torino lui era al Regio come sovrintendente, ma era stato messo un po’ ai margini perché troppe voci giravano sul suo conto”.

Insieme allo scenografo Ezio Frigerio e a Giancarlo Del Monaco lei è considerato uno dei grandi accusatori di Graziosi. È a conoscenza di fatti che riguardano anche la gestione torinese che ha riferito alla procura?

“Il sistema era sempre lo stesso. I soldi dei cachet degli artisti continuavano a passare dal conto di Lugano anche quando è diventato sovrintendente del Teatro Regio. Il legame con Ariosi è sempre identico se non più forte con il passare degli anni”.

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