AGI – I carabinieri della Compagnia di Reggio Calabria hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare personale nei confronti di 5 uomini, di età compresa tra i 35 e i 65 anni, con precedenti in materia ambientale e associazione di tipo mafioso, titolari e dipendenti di un’azienda specializzata in attività di demolizione e movimento terra. Sono ritenuti responsabili di far parte di un’associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti, disastro e inquinamento ambientale, attività di gestione di rifiuti non autorizzata, occupazione abusiva di suolo pubblico.
L’operazione rappresenta l’epilogo di un’indagine iniziata nel gennaio e conclusa ad aprile 2023, coordinata dalla locale Procura della Repubblica, che avrebbe permesso di interrompere una serie di reati, tra i più pericolosi per l’ambiente e l’incolumità pubblica.Gli accertamenti dei militari sono iniziati a seguito di alcuni sopralluoghi, nei quali è stato riscontrato lo sfruttamento delittuoso del torrente Valanidi, da parte della società edile. In particolare sarebbe emersa l’esistenza di un vero e proprio sodalizio criminale dedito alla commissione di delitti in materia ambientale.
La gravità dei delitti commessi, connotati da danni di irreparabile pregiudizio per l’equilibrio ambientale del sito in questione, sottolinea – secondo l’accusa – la spiccata pericolosità degli indagati, la cui spregiudicatezza è stata tale da agire esclusivamente in piena mattinata. Le indagini, di natura tradizionale e tecnica, avrebbero permesso di verificare come l’azienda, in assenza delle previste concessioni e autorizzazioni ambientali, ricevesse e trasportasse abusivamente all’interno del proprio cantiere – anche mediante false attestazioni – ingenti quantitativi di inerti, provenienti da attività edili di terzi, così da ottenere illeciti profitti, eludendo la prevista tracciabilità dell’origine, natura e destinazione.
Il traffico illecito veniva svolto utilizzando anche false attestazioni, mediante le quali i mezzi pesanti aziendali, con varie operazioni di scarico (all’incirca un centinaio al mese), sversavano con l’utilizzo di mezzi pesanti, sistematicamente, all’interno del greto del torrente Valanidi ingenti quantitativi di rifiuti speciali: materiale inerte e relativi residui fangosi, scarti da cantieri edili e demolizione. Erano state realizzate numerose discariche a cielo aperto collocate nell’alveo del fiume per circa un chilometro. All’interno della fiumara – bene demaniale sottoposto a tutela paesaggistica – sarebbero state illecitamente smaltite oltre cinquemila tonnellate di rifiuti speciali.
Mediante i propri escavatori, fra l’altro la ditta sottraeva, impossessandosene, pietrisco costituente la base naturale del torrente per il successivo reimpiego in lavorazioni di settore. Il torrente Valanidi, certificato anche come corridoio ecologico tra due habitat naturali protetti, subiva un disastro ambientale a causa di tali forme di smaltimento, che ne determinavano l’alterazione della normale conformazione. Si creavano cosi’ insidiose barriere artificiali originate dalla stratificazione e compattazione dei materiali smaltiti, cagionando in tal modo un forte pregiudizio al naturale decorso delle acque.
Tale accumulo risultava essere un importante e pericoloso amplificatore del pericolo di esondazione in una zona già classificata a rischio sotto il profilo dell’assetto idrogeologico con ipotizzabili effetti devastanti per gli 83 nuclei familiari residenti nelle adiacenze. L’area, il 22 ottobre 1953, era stata colpita dall’esondazione del torrente, provocando la morte di 44 persone tra la popolazione locale. Una perizia tecnica ha certificato la compromissione della morfologia naturale del sito a causa delle operazioni che hanno causato l’incremento della possibilità di esondazione in caso di eventi pluviometrici estremi, l’aumento del rischio igienico sanitario, la deturpazione dell’area e danni agli habitat fluviali.
Nell’ambito della stessa attività investigativa è stato operato il sequestro preventivo dell’intero patrimonio aziendale, comprensivo di conti correnti e quote sociali, autocarri, mezzi d’opera e autovetture di lusso. Gli approfondimenti investigativi, peraltro, avrebbero consentito di verificare che gli indagati, in relazione alla medesima attività lavorativa, in passato erano già incorsi in provvedimenti antimafia che hanno portato alla confisca di precedente società operante nello stesso settore e riconducibile a cosche di ‘ndrangheta locali.