L’ultimo episodio della seconda stagione di The Mandalorian, Il Salvataggio, si è liberato dai limiti fisici del servizio streaming Disney e si è riversato nel mondo dei social. Una vera e propria condivisione collettiva, fatta di emozioni che inseguono in commenti entusiasti e scatti di reaction che dimostrano come la creatura di Jon Favreau sia divenuta quell’avventura che i fan di Star Wars stavano attendendo da anni. Soprattutto dopo la delusione dell’ultima trilogia cinematografica.
Due stagioni, per un totale di sedici capitoli. Tanto è bastato a The Mandalorian per imporsi come il punto di partenza per una nuova dimensione emotiva della saga ambientata nella galassia lontanta, lontana. Difficilmente si sarebbe immaginato per Star Wars un futuro all’interno del mondo della serialità, eppure The Mandalorian ha scardinato questa perplessità, dimostrando come non conti il formato scelto per il racconto, ma il saper cogliere quale sia la giusta cifra emotiva per dare agli spettatori ciò che sia aspettano: un’avventura ambienta in Star Wars.
ATTENZIONE: Quanto segue contiene una serie di importanti spoiler su The Mandalorian
Dal cinema alla serialità: il nuovo corso di Star Wars
Chi avrebbe mai puntato su una figura come Din Djarin come nuovo simbolo di Star Wars? Quando il neonato servizio streaming di Disney si presentò al mondo con l’elmo del mandaloriano come punto di riferimento, ci fu subito molta curiosità, ma la paura di trovarsi di fronte all’ennesima delusione si percepiva. Sono bastate una manciata di puntate per comprendere come l’epopea del Mandaloriano era la storia di Star Wars che gli appassionati delusi da Abrams e Johnston stavano attendendo da anni.
È comprensibile che con il passare degli anni ci si voglia rivolgere a un pubblico differente. I ragazzi degli anni ’80 sono diventati genitori, e i loro figli, iniziati alle vie della Forza, per quanto affascinati da questa avventurosa galassia sono comunque attratti da diversi stimoli. Era quindi inevitabile che si cercasse di dare un nuovo tono alla saga, compito ricaduto sulle spalle di Abrams in primis, che con Il Risveglio della Forza aveva cercato di adempiere a questo arduo incarico. Riuscendo parzialmente, lasciando in eredità a Johnson una bella sfida: completare questo percorso di rinnovamento.
Purtroppo, Gli Ultimi Jedi si è rivelato il punto di crollo della saga. Presi come film individuali, i film dell’ultima trilogia possono anche essere interessanti, si sforzano di creare una mitologia che si inserisca nel Canon di Star Wars, ma nel farlo non mantengono una linearità con quanto precedentemente raccontato dalla saga, ma anzi arrivano al punto di demolire alcuni dei punti essenziali del mito di Star Wars, andando anche in contraddizione all’interno dello stesso film. Inevitabilmente, quindi, che lo spettatore appassionato, capace di andare oltre alla venerazione cieca del richiamo del brand, percepisse una dissonanza rispetto alla tradizione Star Wars. E parliamo a livello di contenuto, non di forma. Perché se è giusto portare questi mostri sacri del cinema in una nuova dimensione narrativa moderna, bisogna comunque tenere conto del loro passato e rispettarlo.
Un dogma che è stato recepito e rispettato da The Mandalorian.
The Mandalorian: ritorno a Star Wars
La bellezza di The Mandalorian è l’avere riportato i fan della saga di Lucas all’interno di quel clima emotivo che la ha sempre contraddistinta. Sin dalla sua genesi, Star Wars è stata impostata come un racconto che condensa diversi spunti, dalla fantascienza al fantasy, dal western ai film di samurai. Nel dare vita alla sua serie, Favreau è ritornato alle origini della saga, distanziandosi dal percorso di sfrenato rinnovamento che ha contraddistinto l’ultima trilogia cinematografica.
Laddove Abrams e Johnston hanno voluto raccontare un passaggio delle consegne tra la vecchia generazione e i nuovi eroi, chiudendo la saga di Skywalker, con The Mandalorian si è invece deciso di raccontare uno Star Wars tradizionale, ma da un punto di vista differente. Din Djarin e i suoi compagni di avventura rappresentano l’altra faccia della saga, i volti sconosciuti che vivono in una galassia profondamente segnata dagli eventi scatenati dagli eroi che abbiamo amato. In gran parte degli episodi riviviamo momenti salienti della saga (come in Lo Sceriffo, con l’esplosione della seconda Morte Nera) solo per poter poi comprendere come questa società si sia dovuta adattare a un nuovo ordine sociale. Volendo fare un paragone, The Mandalorian ha una finalità simile a Agents of S.H.I.E.L.D.: mostrare le conseguenze dei grandi eventi di una saga nella quotidianità delle persone normali.
E in questo la serialità è perfetta, come già dimostrato in passato proprio in Star Wars. The Clone Wars e Rebels, per quanto serie animate, hanno aperto la strada a questa visione ampia della saga, che grazie al Canon, ossia una cronologia ufficiale di eventi, può inserire diversi personaggi e avventure a piacimento, purchè si rispetti un solo principio: la continuity.
Una regola ferrea che in The Mandalorian viene rispettata grazie alla presenza di Dave Filoni, colui che ha tracciato il sentiero della nuova continuity starwarsiana, essendo il creatore delle due citate serie animate. A Filoni, infatti, si deve la creazione delle basi narrative di The Mandalorian, considerato come in The Clone Wars e in Rebels vengano trattati i mandaloriani come cultura. Favreau, in questo senso, ha ereditato il compito di espandere quanto precedentemente raccontato, unendolo a una storia emozionante e che, non ignoriamolo, ha saputo giocare abilmente con l’effetto nostalgia e una gestione delle citazioni perfetta.
Fan service o continuity?
Una delle accuse mosse a The Mandalorian, specialmente dopo l’ultima puntata, è stata quella di esser schiava del fan service, ossia non badare alla storia ma semplicemente limitarsi a dare agli spettatori quello che vogliono. Facendo parte di una delle saghe più amate della storia del cinema, era impossibile evitare di inserire richiami e citazioni di Star Wars, anzi per gli sceneggiatori la difficoltà era proprio come creare un legame che fosse non solo emotivo ma anche visivo e narrativo con il contesto più ampio della saga.
Missione raggiunta, considerato come la sensazione di trovarsi in Star Wars non sia dettata solamente dai richiami più o meno evidenti, ma da uno spirito che tiene conto della tradizione narrativa della saga. Che non è fatto solo dalla presenza dei Jawa o dalle divise degli imperiali, ma anche dal rispetto di alcuni dogmi tipici della Trilogia Classica, come la necessità di un addestramento per padroneggiare la Forza, che, se nell’ultima trilogia cinematografica viene demolito impietosamente, in The Mandalorian assurge a fulcro narrativo della seconda stagione.
Certo, il vedere tornare in scena personaggi minori molto amati dal pubblico degli aficionados non è un elemento da trascurare. L’entrare in scena di Boba Fett, Bo-Katan e Ahsoka è una della componenti più interessanti della seconda stagione di The Mandalorian, ma non solo sul piano dell’entusiasmo dei fan, quanto sulla dimostrazione che si può pianificare una narrazione coinvolgente e rispettosa di una più ampia continuity. Questi tre personaggi, infatti, non sono catapultati senza alcuna ragione nella storia, ma la loro presenza è motivata, è parte della storia principale pur non essendone schiava.
Volendo essere meno poetici e più smaliziati, questi ritorni sono anche dei turning point da cui far scaturire nuove serie, come dimostrato nel recente Investor’s Day e nella scena post credit di Il Salvataggio. Questo rende forse la loro presenza meno organica all’interno di The Mandalorian? Assolutamente no, anzi riconferma la validità del Canon. Favreau dimostra di avere compreso come si gestisce un universo narrativo così complesso e ricco, trovando (beato lui) un equilibrio funzionale tra la sua anima da appassionato di Star Wars e il suo ruolo di narratore.
È in questa dimensione che il presunto fan service diventa organicità. È qui che si concretizza il vero senso della continuity. Anche quando entra in scena un personaggio ‘pesante’ come Luke Skywalker, che, una volta assorbita l’emozione, diventa una scelta logica, che si presta anche a risvolti narrativi futuri che ora iniziano ad animare la community dei fan.
Quella che per molti è fan service, è in realtà uno strumento narrativo che, se usato con intelligenza e rispetto sia della storia che dello spettatore, crea un legame empatico che consente di godersi al meglio Star Wars facendo leva sul suo principale punto di forza: l’emozione.
Vedere Luke arrivare in soccorso di Din Djarin e compagni nell’ultimo episodio è stato travolgente, allo stesso modo in cui Darth Vader compariva sul finale di Rogue One mandava in sollucchero gli spettatori seduti in sala. Sono questi giochi di citazioni e ribaltamenti emotivi che caratterizzato The Mandalorian, il legarsi alla saga andando a cogliere le note emotive sincere di Star Wars e amalgamandole alla trama della serie, in modo a volte un po’ ruffiano se vogliamo esser pignoli, ma senza mai andare oltre il limite.
Questa è la Via
Il salvataggio non è solamente il finale della seconda stagione di The Mandalorian, ma si presenta come un’ideale conclusione di un lungo blocco narrativo iniziato con il primo episodio della serie. L’idea di raccontare le imprese di Din Djarin e Grogu come suddivise in capitoli, in tal senso, è stata vincente, visto che consente di trattare la narrazione della serie come frazionata in archi narrativi.
Con l’emozionante separazione tra Grogu e Din, si apre per il bounty hunter una nuova vita. Ha in mano la Darksaber, che lo renderebbe l’erede al titolo di Mand’alor, eppure era sua intenzione consegnare l’arma a Bo-Katan, che vorrebbe utilizzarla per reclamare il ruolo di guida della gente mandaloriana e riconquistare il loro pianeta, sotto il giogo degli imperiali. La già annunciata terza stagione di The Mandalorian potrebbe seguire questo spunto narrativo, oppure spingere Mando verso altre avventure.
Ad oggi, quello che possiamo affermare con certezza, è che, pur con qualche piccola pecca in termini di perdita di momentum narrativo, The Mandalorian si è rivelato essere il miglior prodotto del nuovo corso di Star Wars, riuscendo a presentare una nuova dinamica narrativa per la saga, senza però tradirne i presupposti emotivi. Un merito che può esser racchiuso, ovviamente, in un detto mandaloriano: questa è la Via.
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