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Teoria della probabilità, scimmie e capre. A voi il gioco!

Gen 16, 2017

Le festività sono finite e ormai le cartelle della tombola e le carte del Mercante in Fiera sono tornate a prendere polvere. Certamente, per vincere, tra vostro cugino che urlava o la zia incallita, avrete scelto le cartelle della tombola secondo grandi calcoli di probabilità, studiando come i numeri si ripetevano tra le file. E avrete scelto di investire in un’asta all’ultimo sangue sul “Lattante” perché l’anno scorso era risultato nella rosa dei vincitori per 7 partite su 10. Oppure avete lasciato fare al caso, perché cosa importa: sfortunati nel gioco, fortunati in amore!

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Proprio dal gioco d’azzardo prende vita la teoria matematica della Probabilità, nel Rinascimento. Ma cos’è effettivamente la probabilità?

Classico esempio per iniziare: abbiamo una monetina e la lanciamo, quale è la probabilità che esca testa? Se riuscissimo ad avere tutte le informazioni necessarie riuardanti il moto della monetina (la forza che le viene impressa, la sua massa, eccetera) sapremmo ricostruire la sua traiettoria e avremmo la certezza di quale faccia ci mostrebbe una volta caduta a terra. Però non potendo tenere conto di tutti questi fattori, usiamo la probabilità: sappiamo che i casi possibili sono due e che essi sono egualmente possibili (se la monetina non è truccata) e quindi la probabilità sarà definita come il numero di casi favorevoli al nostro evento fratto il numero di casi possibili, ossia 1/2.

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Foto: © aeydenphumi / Depositphotos

Analogamente, la probabilità di avere un numero pari lanciando un dado a sei facce è di 3/6=1/2, poichè i casi possibili sono tutti e sei i numeri, mentre i numeri pari da uno a sei sono tre (2, 4, 6).

Questo approccio presuppune due iptesi: la prima è che gli eventi siano egualmente possibili (la monetina e il dado non sono truccati in modo tale che esca sempre lo stesso risultato) e che le possibilità siano un numero finito.

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Un altro approccio alla probabilità è quello di considerarla come frequenza: supponiamo di avere un dado truccato ma non conosciamo quali siano i numeri “privilegiati”. Armati di buona pazienza lanciamo il dado un certo numero di volte e per ognuna annotiamo il risultato: il numero delle volte che è uscito un dato numero fratto il numero di lanci ci dà un’informazione di quanto quel numero è “privilegiato” nel dado taroccato. Quanti più lanci si fanno, tanto più accurata sarà questa informazione, fino ad arrivare, con infinti lanci, alla definizione di probabilità come frequenza.

Certamente c’è da chiedersi come lanciare “infinite volte” il dado (nelle discipline scentifiche, la probabilità come frequenza può risultare utile quando si può ripetere un esperimento e di fatto si potrà dare un’approssimazione della probabilità quando il numero di prove sarà sufficientemente alto). Ma questo approccio fallisce quando si considera un evento irripetibile: qual è la probabilità che, domattina, dopo aver cercato parcheggio per mezz’ora in centro, l’unico che troverò sarà in realtà occupato da una Smart? Quanti guidano sapranno che tale probabilità si attesta attorno al 100% (o giù di lì) ma questo esempio non può rientrare nell’approccio visto sopra, in quanto avrò solo una prova possibile (domattina) per verificare l’evento.

Ecco allora che si prospetta un approccio alla probabilità come qualcosa di “soggettivo”, ossia un grado di aspettativa che si ha nel verificarsi di un evento: in una partita a dadi, giocano un giocatore ignaro che il dado sia truccato e un baro. Il giocatore ingenuo porrà la probabilità che esca un numero pari a 1/6 poiché crede sia un dado regolare, mentre il baro farà le sue scelte in base alle informazioni in suo possesso.

Infine, se nessuno di questi approcci vi convince, potete sempre usare quello assiomatico: date delle regole (oppurtune), definite la probabilità come una funzione che soddisfa alcune (opportune) proprietà e studiate la teoria, senza crucciarvi troppo su quale interpretazione dare.

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Foto: New York Zoological Society – Picture on Early Office Museum

Ora, uno dei risultati più divertenti della teoria della probalità, conosciuto come paradosso di Borel o anche come teorema della scimmia instancabile: un evento, per quanto improbabile, si realizzerà a patto di aspettare un tempo sufficientemente lungo.

Supponiamo di avere una macchina da scrivere e una scimmia addomesticata che ogni secondo batte una lettera, completamente a caso ma costantemente (secondo caso più famoso di maltrattamento su animali, dopo il gatto di Schrödinger!). Questa scimmia, prima o poi, scriverà la Divina Commedia.

Ora, supponiamo che questa macchina abbia un tasto per ogni lettera (uno per le minuscole e uno per le maiuscole) e quelli per la punteggiatura (incluso uno per lo spazio): indicativamente 50 tasti. Quindi la probabilità che, scelto un simbolo, la scimmia batta proprio quel simbolo sulla tastiera è di 1/50 e quindi, mediamente, dovremo aspettare 50 secondi (50 battiture) per avere il nostro simbolo. Se ora vogliamo che la scimmia batta una parola di due lettere, quanto dovremmo aspettare in media?

Per la prima lettera sappiamo che la probabilità è di 1/50 con 50 secondi di attesa. Ma per la seconda lettera occorre stare più attenti. Consideriamo per un momento la casistica: per la prima battitura abbiamo a disposizione 50 possibili casi, ognuno dei quali genererà altri 50 casi alla seconda battitura, per un totale di 50×50=2500 casi, di cui solo uno è quello che stiamo cercando (le due lettere nel giusto ordine) e pertanto la probabilità che il nostro evento accada è di 1/2500 con un tempo di attesa medio di 2500 secondi, ossia circa 42 minuti.

Quindi per ogni simbolo che aggiungiamo alla nostra “parola” da far battere alla scimmia, la probabilità che l’evento avvenga si riduce di un fattore 1/50 mentre il tempo di attesa aumenta di un fattore 50. Quanto tempo ci vorrà, mediamente, affinché la scimmia scriva la Divina Commedia?

Andiamo per ordine: l’incipit.

Nel mezzo del cammin di nostra vita

Tra lettere e spazi sono 35 caratteri, quindi la probabilità che la scimmia riesca a digitare questa frase sarà di 1/50×1/50×1/50… (35 volte) con un tempo di attesa in media di 50×50… (35 volte) secondi, in breve 5035 secondi: con grossolane approssimazioni, si dovrà aspettare in media appena 1050 anni solo per il primo verso.

Peccato, saremo belli che estinti prima di vedere comparire sul foglio quella frase: prendendo a modello la teoria della morte dell’universo, aspettando quel lasso di tempo i protoni saranno già decaduti da un pezzo.

Passiamo a un altro esempio che ci illustra come la probabilità non sia qualcosa di intrinseco, una proprietà interna di un evento, ma dipende unicamente dal grado di informazioni che abbiamo sull’evento stesso. Nel gioco a premi statunitense “Let’s Make a Deal” i giocatori, posti davanti a tre porte, si trovavano a doverne scegliere una. Dietro alle porte si nascondevano una macchina e due capre. Il giocatore vinceva quello che trovava dietro alla porta.

zonkzonkGioco abbastanza piatto se non fosse che, dopo aver scelto una porta, il conduttore apriva una di quelle con la capra per aumentare la suspense. Se il giocatore avesse avuto la possibilità di cambiare la propria scelta, avrebbe avuto maggiore probabilità di vincere la macchina?

La risposta è sì, poiché in prima istanza, senza sapere dove la macchina fosse, tirando a caso si indovinava con probabilità di 1/3 (circa 33%), mentre aggiungendo l’informazione di sapere dove si trovava una delle due capre la probabilità di trovare la macchina saliva al 50% (perché sarebbe come scegliere tra due sole porte) e pertanto sarebbe stato conveniente cambiare. A meno che non si volesse vincere una capra!

Francesco Esposito, laureando alla Magistrale di Matematica presso l’Università del Salento. Il suo campo di interesse è la Geometria, in particolare Geometrie non-euclidee e Geometria Differenziale. Ha partecipato ad eventi di divulgazione scientifica. Collabora con Tom’s Hardware per la produzione di contenuti scientifici.

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