Lo chiamano “telemarketing” ma per noi è semplicemente una grande scocciatura. Quella di dover respingere, più volte al giorno, proposte commerciali telefoniche. I call center chiamano a tutte le ore, soprattutto la sera, quando ci sono più probabilità di trovarci in casa. Provano a convincerci a cambiare gestore di telefonia, energia elettrica o gas. Ma non mancano i corsi di inglese, i marchi di abbigliamento o di profumeria.
Contro questa piaga, finora, non ha funzionato nulla. Di certo non il registro delle opposizioni, l’albo che (in teoria) i call center devono consultare prima di far partire le chiamate. Chi è dentro quell’elenco, non deve essere disturbato. Peccato che si possano iscrivere solo i titolari di telefonia fissa che compaiono sugli elenchi pubblici e che, comunque, il registro non ci difenda da eventuali consensi firmati negli anni precedenti, magari in un centro commerciale o in negozio, per ottenere una carta fedeltà.
La politica, su pressione delle associazioni di consumatori, non è rimasta a guardare. Ma potrebbe essersi mossa troppo tardi, ora che la legislatura è agli sgoccioli. Ad oggi ci sono due leggi in cantiere. Ed entrambe propongono una revisione radicale dell’attuale registro delle opposizioni. Vediamo, più nel dettaglio, in cosa consistono.
Registro opposizioni più aperto. Il disegno di legge 2603 è quello che ha più possibilità di farcela. Presentato nello scorso novembre, è stato approvato in commissione Lavori pubblici e comunicazioni del Senato in sede deliberante. Significa che non c’è stato bisogno di discuterlo in aula e, pertanto, è passato direttamente alla Camera. Qui le commissioni Trasporti e Attività produttive hanno appena iniziato a discuterlo.
Prevede:
- Che al registro opposizioni si possano iscrivere anche i numeri di telefonia mobile (oggi non è possibile) e che siano ammessi tutti i numeri, anche quelli assenti dagli elenchi pubblici;
- Che, una volta iscritti al registro, tutti i consensi dati in precedenza (sia online che offline) vengano cancellati;
- Che gli operatori dei call center indichino all’utente come hanno ottenuto i suoi dati personali (da elenchi pubblici o dall’acquisto di banche dati).
“Il testo è passato senza sostanziali modifiche – spiega a Repubblica la senatice Manuela Granaiola, che ha presentato il Ddl al Senato – ora speriamo che l’iter proceda spedito. È una corsa contro il tempo ma potremmo farcela”.
Il sogno del Registro unico dei consensi. L’altro disegno di legge, il 2820 è molto più ambizioso ma è destinato, a meno di miracoli, a finire su un binario morto. Presentato lo scorso maggio, non è neanche iniziato il dibattito in commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni in Senato. Le speranze che venga approvato prima della fine della legislatura sono minime. Ed è un peccato, perché propone ciò che le associazioni di consumatori sostengono da anni: un registro dei consensi.
É l’esatto opposto del registro delle opposizioni: si iscrive solo chi, espressamente, vuole essere contattato dai call center per proposte commerciali. E non è finita: la legge propone che ogni cittadino possa visionare online tutti i consensi firmati nel corso degli anni e revocarli, uno ad uno, a sua discrezione.
“Bisogna essere oggettivi: non siamo a inizio legislatura, anche se riuscissimo a portarlo in Senato entro la fine dell’anno, poi arriveranno il Def e la legge di Bilancio” spiega la senatrice Elena Fissore, che ha proposto il Ddl. “La Ddl 2603 (quello di cui abbiamo parlato prima, ndr) ha più possibilità di farcela, e sarebbe comunque un passo avanti rispetto alla situazione attuale”.
“Un consumatore attivo online riceve, in media, tra le 10 e le 15 proposte commerciali a settimana. Questo numero comprende le chiamate cui si è risposto, quelle perse, quelle bloccate da app specializzate e gli sms” spiega la relazione che ha illustrato il Ddl Fissore in Senato. E la questione dei dati personali è una delle maggiori sfide che attende la politica: “Anche se la mia legge non dovesse essere approvata, è importante aver tracciato la strada perché la questione della privacy e dei big data dev’essere affrontata con serietà”.
In parte, però, dipende anche da noi. Perché prima di firmare un consenso o di mettere una crocetta in un questionario bisogna pensarci bene. E non ascoltare il negoziante o il venditore di turno che liquida la questione con la solita frase “una firma per la privacy”. Dobbiamo leggere con attenzione cosa stiamo autorizzando. Perché i dati personali valgono milioni di euro per le aziende. Ma sono nostri.