• 22 Novembre 2024 18:40

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Tecnologie del futuro

Lug 23, 2024

Trasformare l’energia da fusione in corrente elettrica è una delle grandi sfide del futuro. Praticamente una svolta nel percorso di decarbonizzazione perché, come spiega l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica, la fusione potrebbe generare circa quattro milioni di volte più energia per chilogrammo di combustibile rispetto alla combustione del carbone. In questa sfida si stanno impegnando gli stati, l’industria privata e i centri di ricerca anche attraverso progetti di collaborazione internazionale. E l’italiana Eni è stata la prima compagnia energetica a sostenere lo sviluppo di questa tecnologia ed oggi collabora con i più grandi centri di ricerca del mondo. Ma di cosa si tratta esattamente? Praticamente, è il principio della fisica che alimenta il sole e le stelle: la fusione di due atomi leggeri, come gli isotopi dell’idrogeno (Deuterio e Trizio) crea un elemento (Elio) più leggero della somma di due atomi iniziali, una reazione che libera una enorme quantità di energia. Questo processo è completamente diverso da quello della fissione nucleare, che fa funzionare le attuali centrali: infatti, nella fissione, la produzione di energia avviene tramite la “rottura” di atomi pesanti come ad esempio l’uranio. I grandi vantaggi della fusione sono così almeno due, non c’è emissione di gas serra e la produzione è potenzialmente inesauribile. Inoltre, la reazione di fusione è un processo intrinsecamente sicuro perché è in grado di arrestarsi nel momento in cui viene meno anche una sola delle condizioni che lo consentono. Percorrere la strada verso questa rivoluzionaria tecnologia significa puntare verso un futuro più sostenibile ed è per questo che l’energia da fusione è considerata capace di generare una svolta nella transizione energetica. Non è un caso che programmi per la ricerca, lo sviluppo e l’industrializzazione dell’energia da fusione sono condotti in oltre 50 paesi. Il rapporto Fusione Outlook 2023 dell’Agenzia nazionale per l’Energia Atomica sottolinea che sono presenti più di 140 macchine per la fusione in tutto il mondo derivanti da progetti pubblici e privati, inclusi quelli già operativi, in costruzione o nella fase di progettazione.

Secondo l’associazione dell’industria della fusione (Fia) il settore ha attratto oltre 6 miliardi di dollari di investimenti (di cui 3 miliardi negli ultimi tre anni) accompagnati da una serie di avanzamenti tecnologici e dalla nascita di nuove aziende specializzate in questo ambito (se ne contano una quarantina ma il numero è in piena crescita). Alcune di queste prevedono che la prima centrale a fusione potrà immettere energia elettrica nella rete prima del 2035, fissando quindi una data entro la quale la fusione potrebbe contribuire sostanzialmente alla transizione energetica globale. Sul fronte pubblico, i governi di tutto il mondo stanno rispondendo all’urgenza del cambiamento climatico anche incorporando l’energia da fusione nelle loro strategie a lungo termine per raggiungere zero emissioni e in questo contesto l’Italia sta giocando un ruolo di primo piano. L’impegno dell’Eni è su più fronti: la compagnia partecipa al Commonwealth fusion system, spin out del Massachusetts institute of technology, in qualità di azionista strategico da ormai più di cinque anni, e sempre al Mit collabora con il programma Lift (Laboratory for innovation in fusion technology); partecipa al progetto DTT dell’Enea per l’ingegnerizzazione e la costruzione di una macchina a fusione e collabora con altre università e centri di eccellenza, inclusa la creazione del centro congiunto Eni-Cnr di Gela. Eni, infine, ha messo a disposizione dei ricercatori il proprio Green Data Center, il cervellone che con la sua grande potenza di calcolo, permette di utilizzare modelli matematici molto complessi per descrivere la fisica del plasma e simularne il comportamento.

Insomma, in questo cambiamento epocale Eni vuole essere in prima linea nella convinzione che se il settore dell’energia da fusione sarà sviluppato potrà offrire opportunità di sviluppo a interi settori industriali italiani, ad esempio quello dei materiali, dell’industria e della robotica di precisione, dell’elettronica di potenza, della sensoristica e di molti altri ambiti che già oggi stanno dimostrando di poter generare occupazione di altissima qualità e specializzazione e una crescita complessiva in conoscenza, competenze e produttività per l’intero sistema paese.

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