La sottosezione di Taranto dell’Anm (Associazione nazionale magistrati), attraverso il suo presidente Martino Rosati, contesta la scelta dell’avvocato Pasquale Annicchiarico, difensore di Nicola Riva, Riva Fire e Riva Forni elettrici, di rendere “pubblicamente noti gli indirizzi delle abitazioni di vari magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari tarantini” davanti alla Corte d’assise di Taranto nel maxiprocesso ‘Ambiente svenduto’ sul presunto disastro ambientale causato dall’Ilva.
L’avvocato aveva portato in aula alcuni cartelloni con una legenda che indica i luoghi di residenza delle parti civili ammesse, che lamentano un danno da esposizione, e di alcuni magistrati, per dimostrare che in alcuni casi abitano a poche decine di metri gli uni dagli altri e sarebbero sa considerare anch’essi parti danneggiate. Questo “al fine di sostenere – ricorda il giudice Rosati – la sua istanza di rimessione del processo in altra sede”. La notizia, aggiunge, “ovviamente è stata pubblicata da vari organi di stampa”.
“L’Anm – si legge nella nota – non intende esprimersi sulla discutibile conformità alla legge dell’acquisizione e del trattamento di quei dati personali sensibili da parte dell’ avvocato, che sarà semmai valutata dalle competenti autorità giudiziarie o amministrative. Merita, invece, la più ferma censura l’inopportunità della ‘declamazione’ di quei dati in pubblica udienza, tanto più perché del tutto gratuita: semmai quel difensore avesse voluto portare gli stessi a conoscenza della Corte, ben si sarebbe potuto limitare a produrle i documenti anagrafici che già si era procurato”.
Con “il suo comportamento, invece, quell’avvocato – attacca il rappresentante dell’Anm – ha inutilmente esposto numerosi magistrati tarantini, abitualmente impegnati anche in procedimenti di criminalità comune e organizzata, a pericoli per la tranquillità e l’incolumità personale, propria e dei rispettivi familiari. Spetterà ai competenti organismi professionali
di categoria (Ordine degli Avvocati, Camera penale o quant’altri) valutare la conformità o meno di una simile condotta alle regole deontologiche professionali e, se del caso, sanzionarla come merita”. L’Anm, riservandosi “di valutare le più opportune iniziative nelle competenti sedi istituzionali, auspica che analoghi comportamenti – tanto deplorevoli quanto, per fortuna, senza precedenti nel Foro tarantino – non si ripetano più. Mai più”.