Alla fine, hanno prevalso i sì. Fino alla fine del 2025 l’OPEC+ applicherà un taglio sulla produzione del petrolio, pari a circa due milioni di barili al giorno (mb/g), per far risalire i prezzi, che non hanno più toccato i picchi del 2022. Dati i numerosi interessi in ballo, la decisione andava ponderata al meglio, onde evitare dei contraccolpi sugli attori della filiera. Da un lato, alcuni Paesi intendevano proseguire sulla stessa linea. Dall’altro, l’Iraq e non solo si opponevano alla proroga, nel timore di guadagnare ancora meno.
I tagli addizionali
Oltre all’estensione, gli Emirati Arabi Uniti ridurranno la quantità di altri 300.000 mb/g. Probabilmente andranno poi avanti nel 2025 i tagli addizionali sanciti da Russia, Arabia Saudita, Algeria, Oman, Kazakistan, Kuwait e Iraq. Nonostante l’accordo raggiunto, permangono delle sfide. Secondo l’analista di Rystad Energy, Mukesh Sahdev, l’OPEC+ avrà difficoltà a mantenere fede alle intenzioni. Nel primo trimestre sia l’Iraq sia il Kazakistan hanno superato le rispettive quote, idem la Russia ad aprile. Cifre esatte non sono state rese di pubblico dominio, almeno per il momento. Non una sorpresa, perché i Paesi di solito le rendono note in separata sede.
Eppure, i prezzi sono rimasti stagnanti, intorno agli 80 dollari al barile sia per il Brent del Mare del Nord sia il WTI statunitense. Con la diffusione delle auto elettriche, che, però, registra numeri da brividi in Italia, e la graduale rinuncia alle vecchie fonti di combustione generale, gli operatori dispongono di un minore margine di manovra. I 100 dollari di settembre 2022 restano lontani, anche dopo il conflitto scoppiato a Gaza. A causa di un’attività industriale rallentata e da temperature invernali miti, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha corretto i valori al ribasso, mentre l’OPEC+ ribadisce le sue stime per il 2024,
La discesa delle quotazioni è dipesa da una pluralità di fattori, tra cui l’incremento della produzione negli Stati Uniti, in Canada e in Brasile. Che potrebbero compensare la contrazione stabilita dall’OPEC+ di cui non fanno parte. Si tratta, insomma, di una mossa azzardata volta a scuotere il settore, finito in una sorta di limbo negli ultimi anni, anche perché è aumentata la consapevolezza circa i problemi ambientali, provocato pure dai mezzi di trasporto. Di conseguenza, gli organismi politici, tra cui l’Unione Europea, provano a sollecitare una svolta. Il bando dei mezzi a combustione interna nel 2035 persegue tale obiettivo, così come gli incentivi auto confermati anche dal Governo italiano nel 2024, richiedibili a partire da oggi tramite l’apposita piattaforma online.
Americani poco tranquilli
Gli esperti suggeriscono che il provvedimento del cartello potrebbe spingere i prezzi della benzina al rialzo nei prossimi mesi, soprattutto negli USA dove – spiega il New York Sun – corrisponde a circa la metà del costo di un litro di benzina. Le oscillazioni sono molto inferiori in Europa, dove le tasse costituiscono una quota maggiore del costo del carburante. Sebbene siano diminuite un paio di settimane fa, le scorte oltreoceano rimangono comunque ben superiori ai livelli del 2023. L’inflazione ha lasciato parecchie persone scontente sullo stato dell’economia circolare, malgrado la crescita abbastanza forte e una bassa disoccupazione.