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Suinicoltura intensiva, il report di Terra!: “Una bomba ecologica”

Apr 20, 2018

“Con 12 milioni di capi cresciuti e macellati ogni anno in poche decine di chilometri quadrati, l’allevamento industriale di suini in Italia è una vera e propria bomba ecologica. Per disinnescarla c’è soltanto un modo: ridurre drasticamente i consumi di carne e offrire ai consumatori un’etichetta trasparente che riveli la provenienza da allevamento intensivo”.

Questo l’incipit del report Prosciutto nudo: i costi nascosti dell’allevamento industriale di maiali condotto dall’associazione Terra! con il sostegno della The Nando and Elsa Peretti Foundation.

Nel’indagine viene evidenziata la progressiva riduzione, anche in Italia, dei piccoli allevamenti di maiali a favore di un modello di allevamento intensivo con costi ambientali che Terra! definisce “insostenibili” arrivando a parlare di “bomba ecologica”.

Oggi – rileva l’associazione – quasi il 90% dei suini italiani è rinchiuso nel 10% di allevamenti con più di 500 capi. Quasi la metà dei maiali allevati si trova in Lombardia, con ben 3.937.201 capi con la provincia di Brescia in testa. E se i suini autoctoni coprono circa il 60 per cento del fabbisogno del nostro paese, in cui ogni anno vengono macellati circa 12 milioni di capi. Il resto è di origine straniera, prevalentemente nordeuropea da Olanda e Danimarca.

Perché parlare di bomba ecologica? Innanzitutto le feci e le urine prodotte dagli animali chiusi dentro i capannoni, mescolate con l’acqua di lavaggio, sono rifiuti da smaltire in quanto non adatti alla fert-irrigazione. L’alta concentrazione di animali in così poco spazio rende questi resti altamente inquinanti perché ricchi di azoto, fosforo e potassio. A tali sostanze vanno aggiunti i farmaci somministrati agli animali, che finiscono con i resti nelle falde acquifere e nell’ambiente.

D’altra parte, ad aggravare il problema, c’è il dato che vede “l’Italia il secondo paese in Europa, dopo la Spagna, per uso di antibiotici nella zootecnia”.

Poi ci sono i mangini, ne servono ogni anno 3,5 milioni di tonnellate, gran parte dei quali importati dal mercato internazionale. “Se per il mais la produzione italiana copre ancora gran parte del fabbisogno, la soia invece viene quasi tutta dal Sud America (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia). Ogni anno l’Italia importa semi e farina di soia geneticamente modificata, di cui è vietata la coltivazione ma non il commercio”.

Un elemento che si pone in stretto rapporto con il consumo di suolo: “Un terzo delle terre arabili oggi serve a produrre mangimi, e potrebbe aumentare a due terzi nei prossimi trent’anni”. Sono anche le componenti chimiche del modello agro-industriale a pesare sugli ecosistemi, contribuendo alla proliferazione di zone morte nei laghi e negli oceani. “I farmaci non solo vengono rilasciati nell’ambiente, inquinando le falde acquifere, ma possono provocare lo sviluppo della cosiddetta antibiotico-resistenza”.

Secondo Fabio Ciconte, ambientalista e co-fondatore di Terra!, “il modello di allevamento industriale ha trasformato miliardi di animali in macchine fornitrici di materia prima, con impatti giganteschi sul pianeta. Contribuisce al disboscamento di aree ecologicamente importanti come la foresta amazzonica, inquina le falde acquifere e l’atmosfera, aggrava il cambiamento climatico, produce antibiotico-resistenza

ed ha un consumo d’acqua spropositato”.

Una soluzione proposta è quella di indicare al consumatore in etichetta i costi ambientali della produzione di carne rendendo obbligatoria la dicitura da allevamento intensivo per tutti i prodotti a base di carne, “contribuendo a rompere quella distanza cognitiva che si è venuta a creare tra la carne che consumiamo e l’animale da cui proviene”.

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