Non è raro, leggendo quotidiani, riviste e siti specializzati, vedere il motore “boxer” confuso con quello genericamente definito a V di 180°. In realtà hanno parecchie cose in comune ma, come vedremo, presentano differenze importanti che ne influenzano i costi, l’affidabilità e pure il temperamento.
In entrambe le configurazioni il moto dei pistoni si sviluppa su un unico piano, quello orizzontale, coi due gruppi di cilindri disposti ai lati dell’albero motore su un arco di 180°, cioè un “angolo piatto” (non a caso gli anglosassoni definiscono il boxer della Porsche “Flat Six”, “sei piatto”…).
Fonte: Ufficio StampaA sinistra lo schema del propulsore a V di 180°, a destra quello ben equilibrato del boxer
Le differenze sono tutte “sotto la pelle”
Nei propulsori a V stretta, come pure in quello a 180°, le bielle sono montate a coppie, sullo stesso perno dell’albero a gomiti, da cui deriva che, durante il funzionamento, quando un pistone si allontana dall’albero motore, l’altro si avvicina.
Nel boxer, invece, ciascuna biella ha il suo perno dedicato, per cui i pistoni si avvicinano o si allontanano simultaneamente dal “collo d’oca”, dirigendosi verso l’interno o verso l’esterno, con un “movimento” che ricorda quello delle braccia di un pugile in combattimento (da qui la denominazione “boxer”: in inglese, chi pratica il pugilato).
Una messe di vantaggi
Sono numerosi gli ingegneri e i progettisti convinti che il boxer rappresenti l’architettura ideale per garantire la più redditizia omogeneità di rotazione e il massimo piacere di guida. In effetti, è proprio il particolare movimento dei pistoni a rendere il motore ottimamente bilanciato perché i “colpi di maglio” prodotti dalle combustioni e dalle espansioni (e le conseguenti vibrazioni generate dai pistoni opposti) si equilibrano a vicenda.
Nel dettaglio, risultano bilanciate sia le vibrazioni del primo ordine causate dall’inerzia degli organi in movimento alternativo come biella e pistone (che hanno una frequenza uguale a quella di rotazione dell’albero motore), sia quelle del secondo ordine che hanno un modulo, cioè un’ampiezza, pari a circa 1/3 di quelle del primo ordine (ma con una frequenza doppia di quella di rotazione dell’albero motore).
Ne guadagna anche l’affidabilità…
Per questo il boxer non richiede il montaggio di controalberi di bilanciamento per annullare le vibrazioni, e può funzionare in modo fluido e senza sforzo a qualsiasi regime, offrendo una risposta all’acceleratore sempre vigorosa e immediata.
Minori vibrazioni significano anche uno stress inferiore per gli organi meccanici, nonché maggior solidità e affidabilità nel lungo termine, perché i perni di biella sono sottoposti ai carichi bene intervallati di un singolo pistone e non a “mazzate” doppie in stretta alternanza.
Nel V di 180° con le bielle affiancate a due a due sullo stesso perno, infatti, le forze generate dai due pistoni contrapposti non sono concordi e non si annullano, ma si sommano tra loro: per questo tale schema è stato usato solo in motori molto frazionati (come i 12 cilindri, che sono già ben bilanciati di loro avendo le fasi di combustione a intervalli angolari brevi …).
… e ne godono pure le qualità dinamiche
Fra gli altri pregi del boxer c’è la forma “appiattita”, che consente di distribuirne la massa più in basso, con una conseguente marcata riduzione dell’altezza del baricentro della vettura (rispetto a quella di un motore con cilindri in linea o a V).
Ciò rende il veicolo più maneggevole e meno soggetto al rollio in curva, con conseguenti miglioramenti nella prevedibilità e nel controllo quando si guida con piglio sportivo. Non è un caso che tale tipologia di motore sia utilizzata esclusivamente da Porsche e Subaru, che da sempre producono vetture dalle sopraffine qualità dinamiche.
Anche questa “rosa”, però, ha le sue spine…
Visti i tanti e importanti pregi garantiti dal boxer viene spontaneo chiedersi perché sia relativamente poco diffuso… La risposta è facile: è più costoso da progettare, sviluppare e costruire.
Come i motori a V stretta, avendo “due di tutto” (alberi a camme, valvole, bilancieri, testate e condotti di aspirazione e scarico sono doppi) costa di più sia per il maggior numero di componenti, sia per le lavorazioni più lunghe e articolate. Senza contare che, rispetto ai motori in linea, pure i circuiti di lubrificazione e di raffreddamento risultano più complessi.
Un altro limite (che condiziona la sistemazione del propulsore nella vettura) riguarda l’ingombro: la notevole larghezza della struttura risulta d’intralcio nel tradizionale schema con motore davanti e trazione dietro delle auto sportive, visto che all’avantreno c’è il sistema di sterzo… Alla Porsche hanno (in parte) risolto il problema spostando il motore posteriormente, dove c’è più spazio.
Fonte: Ufficio Stampa SubaruL’erogazione corposa e sfruttabile del boxer e la trazione integrale Subaru rendono efficacissima la Crosstrek sulla neve
Gli esempi del passato e del presente
Il boxer ha conosciuto una certa diffusione attorno alla Seconda Guerra Mondiale, soprattutto con la Volkswagen Maggiolino, dapprima prodotta con un quattro cilindri (di 1,0 o 1,1 litri) raffreddato ad aria, seguito, negli anni 80, dalla versione con raffreddamento a liquido e cilindrate di 1,9 o 2,1 litri.
Tale tipo di motore è stato prodotto anche dalla Citroën per la mitica 2CV (bicilindrica di 0.6 litri), mentre nel nostro Paese ha fatto la sua comparsa all’inizio egli anni 60 nella Lancia Flavia, che mise in produzione prima un 1.5 e poi un 1.8 e un 2.0 a quattro cilindri con tale architettura. Successivamente, verso la fine degli anni 70 ha visto la luce un nuovo quattro cilindri boxer di 2,0 o 2,5 litri (leggerissimo, completamente in alluminio e a corsa corta) che andò a equipaggiare la Lancia Gamma.
Non sono mancati i “falsi d’autore”
Molto più diffusi i quattro cilindri boxer Alfa Romeo, montati in modelli piuttosto brillanti di classe media come l’Alfasud, la 33 o le 145/146: sono partiti dalla cilindrata di 1,2 litri con alimentazione a carburatore, per arrivare al 1.7 a sedici valvole a iniezione. Era dell’Alfa Romeo anche il raffinato 12 cilindri boxer di tre litri della gloriosa 33 TT 12, che nel lontano 1977 aveva già raggiunto la potenza di ben 520 CV!
Anche la Ferrari si è cimentata con questa tipologia di motori, e ha denominato più di un modello con la sigla “BB” (dalla 365 alla 512), cioè Berlinetta Boxer: peccato soltanto che quel motore (come il corrispondente 12 cilindri di Formula 1) non fosse boxer, ma a V di 180°, avendo le bielle montate a coppie sullo stesso perno di manovella…
Ne hanno goduto anche le due ruote
Per quanto un motore piatto crei evidenti problemi di ingombro trasversale e di sistemazione, il boxer è stato (ed è) utilizzato parecchio anche in campo motociclistico. La BMW Motorrad ha iniziato a produrlo oltre un secolo fa con la mitica R 32 del 1923, e ancora oggi imperversa con le serie R e GS, mentre la Honda schiera in listino un monumentale sei cilindri, che equipaggia la sibaritica GL 1800 Gold Wing.
Come abbiamo detto, attualmente le uniche Case automobilistiche che hanno in listino motori con questa architettura sono la Porsche e la Subaru: la tedesca propone dei 3,0 e 4,0 litri a sei cilindri utilizzati per Boxster, Cayman, e 911 (Coupé, Targa e Cabrio), mentre la giapponese ha solo motori a quattro cilindri con cubature da 2,0 a 2,5 litri. Ed è doveroso ricordare che la Subaru è stata la prima (e al momento unica Casa automobilistica) a mettere in produzione un “flat four” a ciclo diesel.