• 31 Ottobre 2024 22:32

Corriere NET

Succede nel Mondo, accade qui!

Storia di Giuseppina, 65 anni, in isolamento a Rebibbia col Covid 

Apr 10, 2021

AGI – Una donna di 65 anni, positiva al Covid, è da un mese in isolamento in una cella del carcere romano di Rebibbia, senza la possibilità di vedere nessuno, con soltanto una branda e un wc a disposizione. Una situazione che per la famiglia è tanto più drammatica in quanto la donna, Giuseppina Cianfoni, “ha preso il Covid in carcere, dove si trova reclusa da due mesi per un vizio nel ricorso in appello presentato dal suo difensore tre giorni dopo la scadenza prevista”.

A raccontare la storia all’AGI è la figlia di Giuseppina Cianfoni, Rossella Anitori. “Mia madre ha lavorato per 30 anni come dirigente alla Conservatoria dei registri di Velletri. Nel 2011 è iniziata un’indagine della procura di Velletri che ha portato nel febbraio 2020 alla condanna in primo grado a 3 anni e 4 mesi per aver chiesto compensi per lo svolgimento di pratiche fuori dalla sua competenza di ufficio. Il suo avvocato ritarda nella presentazione del ricorso in appello e mia madre, a 65 anni, finisce dietro le sbarre. Mentre tiene in braccio la nipote appena nata suonano alla porta per notificarle l’arresto e condurla a Rebibbia. L’impatto con la realtà carceraria è uno shock, per lei e tutta la sua famiglia. Tuttavia reagisce, socializza con le detenute, riesce a crearsi una parvenza di normalità, fino allo scoppio della nuova epidemia di Covid all’interno della sezione femminile che conduce lei e altre 60 detenute in cella di isolamento. È a questo punto che sua figlia si allarma: la sente “demoralizzata”, lei che “è sempre stata una donna forte e determinata”.

Rossella scrive quindi al magistrato di sorveglianza: “Torno a scriverle perché mia madre è risultata positiva al Covid e sono ormai 15 giorni che è trattenuta in una cella di isolamento senza potersi fare una doccia, neé guardare il cielo”. Gli spazi per l’isolamento sanitario, infatti, sono scarsi nel carcere e – spiega ancora Rossella all’AGI – “mia madre è stata messa in una cella con solo il Wc e il letto. Gli è stata data una bacinella e una piastra sulla quale scalda l’acqua che poi si versa addosso per lavarsi, con due bottiglie di plastica tagliate a metà”.

Come Rossella scrive nella lettera al magistrato, sua madre è “una donna forte di spirito, ma l’isolamento è una misura in grado di fiaccare anche gli animi più vigorosi. Ieri mi ha raccontato che dopo due settimane in isolamento è risultata nuovamente positiva al tampone: questo nei termini di chi a Rebibbia sta gestendo la pandemia – un evento a cui la struttura carceraria non è preparata – significa un ulteriore periodo di isolamento. Senza acqua, senza affetti, senza aria. Ma come si può destinare un essere umano ad una tortura del genere? Dove è finita l’umanità che dovrebbe contraddistinguere la pena? Così facendo le istituzioni non si macchiano di una colpa peggiore di quella di cui chiedono conto al condannato?”, si chiede ancora la donna.

“Circostanze speciali richiedono provvedimenti speciali, che purtroppo tardano ad arrivare. In questo momento io ripongo in lei tutta la mia fiducia”. La figlia della donna detenuta in carcere ricorda che lo scorso 26 febbraio è stata fatta “istanza per chiedere la scarcerazione e l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova. Da quel giorno attendiamo fiduciosi di riabbracciarla. Purtroppo il Covid rende angosciante l’attesa e fa del carcere un luogo ancora più duro, minando anche la risorsa della socialità con cui si consolano le persone detenute e trasforma la reclusione in un interminabile periodo di isolamento in deroga a qualunque principio di umanità. Mia madre non è una persona socialmente pericolosa, i fatti per cui si trova in carcere risalgono a 10 anni fa e afferiscono alla sfera di quella che era la sua attività lavorativa. A causa di quei fatti ha subito un licenziamento, è stata screditata socialmente e dopo quasi 30 anni alle dipendenze delle Stato non ha maturato il diritto alla pensione. Oggi, a causa di un ricorso tardivo proposto erroneamente dal suo avvocato contro una sentenza di primo grado, è in carcere da oltre due mesi, di cui uno, a causa del Covid, passato in isolamento, dove dovrà restare fin quando il tampone non tornerà negativo. Quanto mi chiedo e cosa dovremmo attendere perché l’umano nell’uomo possa finalmente trionfare e mettere un punto a questa notte dei diritti? Mia madre è una madre e una nonna e ha tanto amore da dare. Io e la mia famiglia attendiamo ogni giorno il suo ritorno”. 

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Guarda la Policy

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close