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Stop al diesel, ora l’industria deve adeguarsi ai nuovi scenari

Feb 28, 2018

Gli investimenti a favore di ibrido ed elettrico di natura pubblica e la regolazione avversa al diesel via tribunale. Gli investimenti pubblici in Cina. E la regolazione via tribunale in Germania. In mezzo – due volte vaso di coccio fra vasi di ferro – l’Italia. Una volta per la sua industria. Una volta per le sue policy.

Una prima volta vaso di coccio perch caratterizzata da una specializzazione produttiva Ancien Rgime – basata sul nocciolo duro della vecchia Fiat, poco avvezza (per usare un eufemismo) all’elettrico e all’ibrido – e da una valida componentistica che per, nella sua attitudine tecnoscientifica, va a traino dei carmakers clienti, in particolare quei tedeschi finora diesel addicted. Una seconda volta vaso di coccio perch segnata da una debolezza culturale e strutturale della politica che – in questi quarant’anni caratterizzati dal tema del debito pubblico e dalla fragilit delle nostre classi dirigenti – rende il concetto di politica industriale simile, talvolta, a un flatus vocis. Nel suo tumultuoso processo di riconfigurazione, l’industria dell’auto internazionale oggi percorsa da queste due forze centrifughe. In Germania Angela Merkel, che come tutti i cancellieri ha un rapporto consustanziale con i costruttori tedeschi e assimila i loro interessi e le loro paure, sceglie di sopire e troncare, di troncare e sopire, assicurando che gli effetti della corte amministrativa federale sulla circolazione dei diesel nei centri storici saranno limitati. Ma tant’. La scelta della corte di Lipsia appare un altro spartiacque, in una Europa che – dal dieselgate in avanti – ha visto le citt e i governi locali – ancora prima dei governi nazionali – porre limiti ai motori a gasolio che rendono sempre meno profittevoli queste auto. E, di certo, questa tendenza inserisce un profilo di criticit nel core business della Fca Italy, l’erede della vecchia Fiat Group Automobiles e della vecchia cultura del common rail, e di una filiera che ha prosperato negli anni Novanta e Duemila grazie soprattutto nel rapporto con Daimler, Bmw e Volkswagen-Audi. Intanto, in Cina e dalla Cina, prosegue la doppia operazione di investimenti di base nell’elettrico e nell’ibrido e di espansione all’estero condotta delle case automobilistiche pronte ad assorbire i marchi occidentali del Novecento. La Cina ha deciso che il 10% del parco macchine dovr essere elettrico o ibrido entro il 2019. Questa quota salir al 12% nel 2020. E al 20% nel 2025. Nel 2017, su un milione di autovetture ibride e elettriche vendute nel mondo 780mila hanno avuto una targa cinese. Questo mercato cresciuto del 52% rispetto al 2016. Intanto, in un meccanismo che vede una connessione diretta fra le linee di politica industriale ed economiche stabilite dal Partito Comunista Cinese e le scelte di M&A delle imprese pubbliche e “private”, non solo Geely diventata azionista rilevante e in crescita di Daimler, ma ieri Bloomberg ha anche attribuito con certezza ad essa l’interesse a rilevare, nell’agosto scorso, Fca. L’automotive industry un pezzo consistente della nostra economia. L’Italia poca cosa per Fca. Ma Fca ancora importante per l’Italia. E le posizioni espresse nel 2016 ad Amsterdam, su elettrico e ibrido, da Sergio Marchionne all’assemblea di Fca NV furono rudemente oneste: Meglio i ritardi che i rimorsi. Da allora Fca, impegnatissima a risparmiare ogni euro per diventare cash-net, non ha modificato la sua linea. La frontiera tecnologica internazionale dell’auto cambiata. Di sicuro l’elettrico e l’ibrido sono una parte essenziale del nuovo scenario. Il nostro paesaggio industriale dovr mutare, per l’ennesima volta, la sua pelle. Questa volta, per, l’autonomia della metamorfosi non potr bastare. Questa volta, nel pieno di una mutazione di uno scenario cos radicale, i prossimi inquilini di Palazzo Chigi, del Mef e del Mise dovranno avere due idee – due domande – in testa: che cosa succeder agli stabilimenti italiani con l’uscita di Sergio Marchionne e quali strumenti di policy – in quale contesto generale e con quante risorse – definire per evitare al sistema industriale italiano – perfino alla pi piccola azienda automotive di Carate Brianza o di Viterbo – un eccesso di solitudine, nel pieno della rivoluzione dell’elettrico. Non sar facile.

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