“Il 30 ottobre 2009 era stata fatta una relazione preliminare sui primi risultati dell’autopsia di Cucchi tenuta segreta ma di cui il Comando Provinciale e il Gruppo Roma sapevano”. È quanto dichiarato dal pm Giovanni Musarò nel corso del processo sulla morte di Stefano Cucchi. In quel documento preliminare (effettuato il giorno stesso del decesso del geometra 31enne) si sottolineava che “la lesività delle ferite allo stato non consentiva di accertare con esattezza le cause della morte”. Parole che marcano una differenzanetta rispetto a quanto sostenuto sempre nell’autopsia e nella maxi-consulenza, in cui veniva escluso un nesso fra le ferite di Stefano Cucchi e la sua morte. Si tratta infatti di risultati completamente diversi, che vennero anticipati nel carteggio interno fra i Carabinieri. Negli accertamenti preliminari – che vennero negati anche all’avvocato della famiglia Cucchi – si parlava di due fratture (e non precedenti), oltre a un’insufficienza cardio circolatoria acuta e si diceva che non si poteva stabilire con certezza le cause della morte. “Se il medico nel 2009 non poteva sapere il motivo della morte di Cucchi, allora come è possibile che i carabinieri già lo sapessero?” ha sottolineato Musarò in aula.
In attiufficiali del comando del gruppo dei carabinieri di Roma, “erano anticipate le conclusioni di consulenti che il pm non aveva ancora nominato con riferimenti e risultati parziali dell’autopsia” ha evidenziato il pubblico ministero. La relazione di cui parla l’Arma in documentiriservati del 2009, “era talmente segreta da essere negata anche alle parti” ha aggiunto. Il documento in questione era stato firmato dal medico legale Dino Tancredi, l’unico già nominato il 30 ottobre 2009, e vi si sottolineava come servissero ulteriori approfondimenti per definire le cause del decesso. Eppure già in quei giorni l’Arma sottolineò come i medicilegali avessero escluso il nesso di causalità tra la morte del giovane e le percosse subite. Musarò ha fornito anche altri dettagli: nella relazione si spiega “che c’erano due fratturenon precedenti alla morte e non si faceva riferimento ad alcuna responsabilità dei medici e che Cucchi era morto per cause da accertare”. Il pm ha sottolineato che però “nei verbali dei Carabinieri già si sosteneva che non c’era nesso di causalità tra le ferite e la morte”. Infine ha ripetuto: “Se nel 2009 non si conoscevano le cause della morte com’è possibile che i carabinieri nei loro documenti già lo sapessero?”.
Una presa di posizione, quella del pm Musarò, che segue quanto avvenuto il 27 febbraio scorso durante l’audizione in aula come testimone del generale Vittorio Tomasone, all’epoca dei fatti comandanteprovinciale di Roma dei Carabinieri. Tomasone ha detto di non essersi mai interessato dell’aspetto medico-legale della morte del geometra 31enne, circostanza però smentita dal pm Musarò, che in aula gli ha mostrato un atto sua firma nel quale si anticipavano le conclusioni sull’autopsia, in particolare in merito a due fratture, che neanche la Procura di Roma ancora conosceva.”Come facevate ad avere già queste informazioni?” ha chiesto il pm, con Tomasone che per rispondere ha chiamato in causa il suo sottoposto diretto, il colonnello AlessandroCasarsa. Quindi il pm gli ha chiesto se sapeva se l’allora comandante del gruppo Roma avesse avuto contatti diretti con il consulentetecnico. E qui Tomasone ha replicato dicendo “questo non lo so”. Il pm ha fatto emergere anche che il 23 novembre fu disposta l’autopsia del geometra, il successivo 6 dicembre il medico incaricato auspicava la nomina di altri specialisti, “ma il primo novembre il generale Tomasone, in un atto indirizzato al Comandogenerale, scrive dei risultati ‘parziali’ dell’autopsia che ancora non era stata fatta”. Ma il generale ha risposto: “Sul modo con il quale è stata assunta l’informazione non ricordo. Non ho memoria”.