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Sprofondo tech: le trimestrali dei Giganti raccontano la crisi di tutti

Ott 29, 2022

AGI – Chi campa di pubblicità precipita, chi ha maggiore equilibrio cade, tutti vedono rosso. È stata una tre giorni di trimestrali da mani nei capelli per le grandi società tecnologiche. Meta è stata affossata da risultati sotto le aspettative e – ancor di più – dalla nebulosità del suo futuro. Alphabet non procedeva così a rilento da quasi un decennio. L’e-commerce di Amazon potrebbe deludere sotto l’albero di Natale. E, per ragioni diverse, neppure Apple e Microsoft si sono salvate.

Dai servizi agli hardware, dal cloud al digital advertising fino all’e-commerce, nessuno è immune. Non è una brutta notizia solo per le compagnie e per chi ci lavora dentro: vendite online deboli nel trimestre del Black Friday e spesa pubblicitaria al rallentatore sono indicatori, tutt’altro che confortanti, della salute economica globale. Insomma: i tempi complicati rischiano di diventare cupi. E le trimestrali tecnologiche hanno tradotto i timori in numeri. Pessimi.

Meta, presente difficile e futuro incerto

Nel primo trimestre 2022 era arrivato il primo calo di fatturato di sempre. Adesso è arrivato il secondo. A dicembre arriverà il terzo. Se fosse uno Stato, Meta sarebbe in “recessione tecnica”. Profonda come non lo è mai stata: dopo la pubblicazione della trimestrale, il titolo ha perso un quarto del proprio valore, scendendo a livelli che non si vedevano dal 2016, quando Donald Trump stava lastricando la propria strada verso la Casa Bianca con minacce alle società tecnologiche. Nel giro di un seduta, Zuckerberg ha perso circa 11 miliardi di dollari. 

Gli utenti attivi sono aumentati, in linea con le attese, ma sono diventati un fattore secondario. Gli occhi dei mercati sono puntati sulla cassa: fatturato in calo del 4%, costi lievitati del 19%, margine operativo crollato dal 36% al 20%, utile dimezzato. E, soprattutto, un orizzonte privo di luce, quantomeno nel breve periodo: per il trimestre in corso, la compagnia prevede di incassare 30-32,5 miliardi di dollari. Assumendo un valore medio, vorrebbe dire un nuovo calo, del 7%. La caduta, quindi, non solo non si arresta ma accelera. Altro segnale per nulla incoraggiante: alla fine del 2023, la forza lavoro di Meta sarà simile o “poco inferiore” a quella di oggi. Un indice di evidente difficoltà per una compagnia che ha sempre accompagnato la crescita del fatturato con nuove assunzioni.

Tutto palesa la solita crepa strutturale: una dipendenza totale dalla pubblicità, che nel terzo periodo ha rappresentato il 98% del fatturato. Reality Labs, l’unità cui fanno capo i visori e lo sviluppo del metaverso, ha incassato appena 285 milioni e – nei primi nove mesi dell’anno – ha già accumulato perdite per oltre 9 miliardi di dollari. Come annunciato dal cfo David Wehner, saranno ancora più profonde nel 2023. In altre parole: Zuckerberg sta cercando nel metaverso un’alternativa alla pubblicità che, per ora, non dà certezze. 

Alphabet, ritorno alle “priorità”

La pubblicità colpisce (pur con meno intensità) Alphabet. Il fatturato della holding cui fa capo Google è sì cresciuto, ma solo del 6%, deludendo le aspettative degli analisti e marcando una differenza siderale con il +41% di un anno fa. Fatta eccezione per il trimestre più cupo della pandemia, è il progresso più blando registrato dal 2013.

Delude, in particolare, Youtube, che incassa poco più di 7 miliardi, il 2% in meno anno su anno. È il risultato, come ha spiegato la società, di un calo della spesa pubblicitaria, specie in settori come assicurazioni, credito, immobiliare e criptovalute.

Davanti alle difficoltà, il ceo Sundar Pichai ha utilizzato un vocabolario molto simile a quello di Zuckerberg: ci si concentra sulle “priorità”, tagliando dove possibile. Il ritmo delle assunzioni rallenterà per tutto il 2023, addio a Stadia, saltano un giro i Pixelbook e vengono decurtati i fondi per Area 120, l’incubatore interno dell’azienda dove sono nate alcune soluzioni che ne hanno fatto la fortuna. In altre parole: non è il momento di sperimentare. Non un dettaglio per un’azienda tecnologica.

Nel giro di due sedute, il titolo di Alphabet ha perso quasi il 12%. Male, malissimo. Ma con un tonfo meno fragoroso rispetto a Meta. Il paracadute capace di rallentare la picchiata si chiama Google Cloud. È ancora in perdita, ma è cresciuta ben oltre le attese (+37%, a 6,9 miliardi). La pubblicità vale ancora tre quarti del fatturato, ma Alphabet ha già trovato quella seconda gamba che Zuckerberg sta ancora cercando. E che gli permette di tenere botta quando i “venti contrari” (espressione usata di frequente dalle società tecnologiche in questo periodo) soffiano poderosi.

Microsoft, simbolo della crisi trasversale 

Neppure Microsoft, questa volta, ha retto: il titolo ha perso il 9,5% nel giro di due sedute. Se Alphabet ha pagato i risultati deludenti, sulla compagnia guidata da Satya Nadella hanno pesato le previsioni grigie, su più fronti. Per il trimestre in corso, Microsoft stima un fatturato tra i 52,35 e i 53,35 miliardi di dollari. Meno delle attese. Prendendo in considerazione il valore medio, vorrebbe dire una crescita debole, del 2%.

In qualche modo, grazie alla distribuzione tra cloud, servizi per le imprese e prodotti per gli utenti, la società tiene. Ma proprio il caso di Microsoft, che fa dell’equilibrio il proprio punto di forza, fa capire quanto la crisi sia trasversale a più settori. I segnali di debolezza – che secondo la cfo Amy Hood dovrebbero proseguire almeno fino alla fine dell’anno – si notano su più fronti, soprattutto nel segmento consumer (cioè utenti singoli e famiglie): si vendono pochi servizi legati alla Xbox; la domanda di pc è bassa, afflosciando i ricavi legati a Windows; sta rallentando la pubblicità su Linkedin. Persino il cloud, che rappresenta ormai il 40% del fatturato di gruppo, mostra alcune rughe. Azure, la sua anima più evoluta, sta rallentando (è cresciuta del 35%, contro il 50 e passa di due trimestri fa) e potrebbe comprimere i propri margini a causa del costo dell’energia.

Apple, segnali dagli iPhone

Come dimostra Microsoft, i dolori delle società tecnologiche non si fermano alla pubblicità. Anche Apple, che campa di hardware e servizi, ha incontrato i famosi “venti contrari”: dopo la pubblicazione della trimestrale, il titolo ha perso il 3%. Un calo che, confrontato con gli scivoloni delle altre (ex) “trillion dollar comapany”, sembra quasi una buona notizia.

La Mela ha fornito indicazioni miste. Fatturato, cresciuto dell’8%, margine operativo e utile hanno superato le attese. I Mac, in barba ai previsti imbuti produttivi, hanno incassato 11,5 miliardi di dollari, il 25% in più dello scorso anno. E allora perché le azioni soffrono? Tre i punti che non hanno convinto del tutto: iPhone, servizi e indicazioni per i mesi a venire.

Gli iPhone continuano a dimostrarsi soldi: hanno incassato il 9% in più rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. Eppure, hanno deluso i mercati. Una delusione da non sottovalutare, per almeno due ragioni. La prima è che l’iPhone continua a valere oltre la metà del fatturato annuo dell’intero gruppo. Ogni piccolo segnale è quindi osservato con particolare attenzione. La seconda ragione riguarda l’ultimo arrivato, l’iPhone 14. Le vendite sono partite a otto giorni dalla chiusura del trimestre: pochi, ma abbastanza per dare indizi sulla disponibilità degli utenti a comprare – anche in tempi complessi e nel 2023 – un dispositivo costoso.

Secondo punto: i servizi stanno rallentando. Sono cresciuti del 5%, a un ritmo che è quasi un terzo rispetto a quello medio tenuto durante l’intero anno fiscale. I servizi sono fondamentali non solo perché rappresentano quasi il 25% del bilancio, ma anche perché hanno margini più ampi rispetto ai prodotti e sono meno soggetti alla stagionalità. Sono cioè l’elemento decisivo per dare equilibrio e stabilità.

Terzo punto: i prossimi mesi. Apple non fornisce stime puntuali, ma il cfo Luca Maestri ha sottolineato che nel trimestre in corso la compagnia rallenterà (cioè crescerà meno dell’8%), che i Mac dovrebbero frenare e che i servizi potrebbero risentire del clima macroeconomico sfavorevole.

Amazon, Natale e venerdì neri

Amazon si è discostato dalla metafora dei venti e ha preferito parlare di “acque incerte”. Che si tratti di Eolo o di Nettuno, però, la sostanza non cambia: nella seduta post-trimestrale, le azioni del gruppo hanno perso oltre il 12%. Il fatturato è aumentato del 15% anno su anno e l’e-commerce, dopo due trimestri in calo, è tornato a crescere, del 7%. La delusione, però, arriva dalle stime per il periodo ottobre-dicembre: Amazon prevede di incassare tra i 140 e i 148 miliardi (che corrisponderebbero a una crescita tra il 2 e l’8%), ben al di sotto dei 155 miliardi attesi dagli analisti. Il punto è che non si tratta di un trimestre qualsiasi, ma dell’ultimo dell’anno, quello più ricco per le vendite online, tra Black Friday e feste natalizie. Il gruppo teme quindi che l’incertezza e il caro energia, pesando sulle famiglie, freneranno gli acquisti online.

Ma c’è di più: non ha brillato neppure Aws, cioè il cloud, che grazie ai margini abbondanti e alla crescita sostenuta ha spesso ammortizzato i passaggi a vuoto dell’e-commerce. La nuvola continua ad ampliarsi, ma per la prima volta dal 2020 è cresciuta meno del 30%.

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