Anche in un universo informatico che ha reso virtuale ogni raccolta dati e ogni archiviazione di informazione, il funzionamento dei comuni personal computer continua a far leva sul fatto che esista all’interno del dispositivo uno spazio prettamente fisico, sia esso di tipo magnetico oppure flash, all’interno del quale i dati vengono costantemente scritti ed elaborati pere garantire il funzionamento del computer.
Oltre alle minacce connesse con i furti di informazioni sensibili condotti lungo terreni impalpabili, l’utente deve sempre prestare attenzione alla salvaguardia del proprio hard disk e controllare periodicamente che la quantità di spazio occupata dai suoi dati non risulti abnorme o sproporzionata rispetto alle operazioni compiute e che nessun bug presente nelle applicazioni online si sia tradotto in un danno a quel cuore “fisico” dal quale tutto dipende.
A tal proposito, alcuni utenti di Spotify hanno recentemente scoperto l’esistenza di un colossale bug che consente all’applicazione di caricare una quantità spropositata di dati, pari a circa 100 GB, all’interno della memoria Ssd, rallentandone il funzionamento, sottraendo spazio alle sue funzioni vitali e mettendo a rischio al salvaguardia dell’intero sistema, alle prese con la necessità di dover elaborare una lunga serie di informazioni palesemente inutili o nocive.
Mentre il fruitore si trova in fase di ascolto della musica offerta dal popolare servizio, pare infatti che il programma si trovi a sovrascrivere, in maniera del tutto accidentale (si spera), i dati presenti sull’hard disk con una velocità fuori dal comune e che una giornata trascorsa ad ascoltare album su Spotify si traduca nella genesi di un quantitativo di dati presenti nella memoria difficile da eliminare mediante il ricorso a sistemi manuali di pulizia.
Riscontrato tanto su Windows quanto su Osx e Linux, il problema andrebbe ad investire circa 40 milioni di utenti in tutto il mondo e si troverebbe ora al vaglio della società produttrice, desiderosa di non perdere la faccia e i clienti per via di quello stretto spazio fisco che continua a rappresentare il cuore pulsante delle operazioni, anche in universo ormai convertito alla dimensione del virtuale e ai vari sistemi di clouding online.
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