• 25 Novembre 2024 6:41

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Sono 4,3 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi

Ott 8, 2024

AGI – È emergenza sanità in Italia: c’è grave crisi del personale, una frattura evidente fra nord-sud, è boom della spesa delle famiglie (+10,3%), ben 4,5 milioni di persone stanno rinunciando alle cure, e c’è il crollo della spesa per la prevenzione (-18,6%). I dati emergono dal 7 Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN) della Fondazione Gimbe. Nella spesa sanitaria pubblica, osserva la Fondazione, il gap è di 52,4 miliardi di euro con la media dei paesi ue, ma la percentuale di pil scende al 6,2% dal 2026.

“Dati, narrative e sondaggi di popolazione – esordisce Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – dimostrano che oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio Sanitario Nazionale”. Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell’Unione Europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi; la crisi motivazionale del personale che abbandona il Ssn; il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%); quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici; le inaccettabili diseguaglianze regionali e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati. Tutto questo, dimostra, continua Cartabellotta, “che la tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno, che i principi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate”. 

 

“La grave crisi di sostenibilità del SSN – afferma Cartabellotta – è frutto anzitutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante: hanno scelto di ridurre il perimetro della tutela pubblica per aumentare i sussidi individuali, con l’obiettivo di mantenere il consenso elettorale, ignorando deliberatamente che qualche decina di euro in più in busta paga non compensano certo le centinaia di euro da sborsare per un accertamento diagnostico o una visita specialistica”.

Il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi, in media 2 miliardi per anno, ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il FSN è aumentato di ben 11,6 miliardi, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia COVID-19, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del SSN nè consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci.

 

Per gli anni 2023-2024 il FSN è aumentato di 8.653 milioni: tuttavia, nel 2023 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai doverosi rinnovi contrattuali del personale. Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità: infatti, secondo il Piano Strutturale di Bilancio deliberato lo scorso 27 settembre in Consiglio dei Ministri, il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. A fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Piano Strutturale di Bilancio stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3% annuo.

 

 “Questi dati – spiega Cartabellotta – confermano il continuo e progressivo definanziamento del SSN che non tiene conto dell’emergenza sanità e prosegue ostinatamente nella stessa direzione dei Governi precedenti”.

Rispetto al 2022, nel 2023 i dati ISTAT documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (4.286 milioni) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+ 3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-73 milioni) o ai più abbienti una copertura totale come quella offerta dal SS. La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+5.326 in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+3.806 milioni) in un solo anno. Secondo l’Istat nel 2023 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600.000 in più dell’anno precedente.

Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni (-18,6%). “Tenendo conto che la prevenzione – commenta Cartabellotta – è la “sorella povera” del SSN, al quale viene allocato circa il 6% del finanziamento pubblico, tale riduzione rappresenta un’ulteriore spia del sotto-finanziamento che, inevitabilmente, costringe Regioni e Aziende sanitarie a sottrarre risorse a un settore si’ fondamentale, ma considerato differibile. Ma tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire, documentando la miopia di queste scelte di breve periodo”.

 

“La sanità pubblica – commenta Cartabellotta – sta sperimentando una crisi del personale sanitario senza precedenti: inizialmente dovuta al definanziamento del SSN e a errori di programmazione, oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione per il SSN. Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno”.

 

I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del SSN: secondo la Fondazione Onaosi, tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e Anaao-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023. L’Italia dispone complessivamente di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti, un dato superiore alla media OCSE (3,7), ma sta sperimentando il progressivo abbandono del SSN e carenze selettive: oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia.

 

“Ma la vera crisi – continua il Presidente – riguarda il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al Corso di Laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati”. Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media OCSE (9,8), collocandosi tra i paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4). Inoltre, nel 2022 i laureati in Scienze Infermieristiche sono stati appena 16,4 per 100.000 abitanti (figura 5), rispetto a una media OCSE di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica prima solo del Lussemburgo e della Colombia. Per l’Anno Accademico 2024-2025 sono state presentate 21.250 domande per il Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche a fronte di 20.435 posti, un dato che dimostra la mancata r di questa professione. Rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket – nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda. Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. In particolare nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a 10,96 miliardi.

 

Il target intermedio sulla percentuale di over 65 in assistenza domiciliare è stato raggiunto a livello nazionale e in tutte le Regioni tranne che in tre Regioni del Sud. Al 31 luglio 2024 sono stati realizzati il 52% dei posti letto di terapia intensiva e il 50% di quelli di terapia sub-intensiva con nette differenze regionali.

“Perdere il SSN – conclude Cartabellotta – non significa solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi. È per questo che la Fondazione Gimbe ha aggiornato il Piano di Rilancio del SSN: un programma chiaro in 13 punti che prescrive la terapia necessaria a salvare il nostro SSN “malato”.

 

Un piano che ha come bussola l’articolo 32 della Costituzione e il rispetto dei principi fondanti del SSN e mette nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe invoca un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei Governi, riconoscendo nel SSN un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell’Italia. Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e responsabili, consapevoli del valore del SSN, e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune”.

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