Per molto tempo, prima dello studio accurato del comportamento animale, si è creduto che un tratto tipicamente umano fosse l’utilizzo di strumenti per funzioni specifiche. Almeno da due secoli, tuttavia, è ben noto che molte specie animali sono in grado di utilizzare i più disparati attrezzi per gli scopi più diversi; partendo dai primi esempi identificati, che guarda caso riguardavano i primati – si intendeva vedere se almeno i più simili agli uomini fra gli animali utilizzassero strumenti, per comprendere l’evoluzione di questo tratto nella nostra specie – si è presto realizzato che, oltre ai mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci sono tutti in grado di utilizzare e qualche volta anche fabbricare attrezzi specifici. Oltre che nei vertebrati, il campione di intelligenza fra gli invertebrati, ovvero il polpo, è pure stato trovato in grado di utilizzare strumenti diversi.
Tutti i casi citati hanno contribuito ad associare l’uso di attrezzi a diverse forme di intelligenza, variamente sviluppata, ma sempre, per così dire, superiore; laddove, cioè, abbiamo dovuto rinunciare da tempo a considerare gli strumenti come indice di superiorità da parte della nostra specie, abbiamo continuato ad immaginare che comunque il loro uso fosse associato ad una più sviluppata intelligenza, evidentemente più diffusa di quanto potessimo immaginare. Ma fra le scienze la biologia è fra le più ricche di sorprese, ed ancora una volta dobbiamo rinunciare a questa idea: non è affatto necessario un cervello particolarmente sviluppato, come quello dei vertebrati o dei polpi, perché una specie sia in grado di utilizzare attrezzi adatti a scopi specifici.
Un lavoro appena pubblicato, infatti, ha trovato che un particolare tipo di emitteri predatori, insetti imparentati con le cimici delle piante che siamo abituati ad incontrare e chiamati appropriatamente “cimici assassine” a causa dell’efficienza predatoria, utilizzano uno strumento allo scopo di migliorare le proprie prestazioni nella caccia. Le cimici assassine uccidono la preda bucandone il corpo con un rostro, per poi pompare enzimi digestivi e quindi succhiare ciò che resta. Gli autori del lavoro qui discusso hanno esaminato cimici assassine del genere Gorareduvius, un insetto australiano che vive su una pianta in grado di produrre una resina appiccicosa. Questa resina era utilizzata dagli aborigeni australiani come colla per unire i pezzi dei loro strumenti; a quanto pare, tuttavia, non è solo la nostra specie ad utilizzarne le proprietà adesive.
Osservando gli insetti, i ricercatori hanno notato che sia i maschi che le femmine raschiavano la resina dalla pianta e la applicavano su parti del corpo, in particolare sulle zampe anteriori. Quando gli insetti erano posti in presenza di una potenziale preda, la resina adesiva li aiutava a catturare e manipolare la preda, rendendone difficoltosi i movimenti e facilitando l’azione del rostro del predatore. Se la resina era rimossa con un solvente, le prede riuscivano a fuggire un numero maggiore di volte. In particolare, con la resina sulle zampe, le cimici assassine riuscivano a catturare il 26% delle volte in più la preda; senza la resina, il numero di attacchi per riuscire a catturare una preda era doppio, e, anche quando una potenziale preda come una mosca era fra le zampe della cimice assassina, aveva il 64% di possibilità in più di fuggire.
Lo studio dimostra alcuni punti importanti circa l’uso degli strumenti. Innanzitutto, come il lettore poteva già sospettare, non è richiesto un apprendimento di tipo culturale perché si faccia uso di un certo materiale al fine di migliorare l’efficienza di un comportamento: l’utilizzo della resina documentato nello studio citato è certamente dettato dai geni, e non dall’imitazione o dall’apprendimento per altre vie. Noi abbiamo sempre attribuito un’importanza discriminante all’uso di strumenti, cercando confini fra i nostri simili e gli altri animali: abbiamo infatti chiamato Homo ergaster e Homo abilis alcuni ominini primitivi, in cui intravediamo un barlume della nostra umanità fra le altre cose nella loro capacità di produrre e usare attrezzi. È ora, tuttavia, di considerare gli strumenti come entranti a pieno titolo in quello che Dawkins ha battezzato “fenotipo esteso” di molte specie animali, anche lontanissime da noi, come le cimici assassine: perché essi esistano, è sufficiente un’estensione dell’azione dei geni, oltre il nostro stesso corpo, in grado di avvantaggiarne la trasmissione alle generazioni successive.
L’intelligenza, la cultura, la sofisticazione tecnologica sono tratti successivi delle specie viventi, tratti che possono certo migliorare di molto il numero, la flessibilità e la diffusione rapida dell’uso di uno strumento, ma che evidentemente non sono strettamente necessari alla comparsa di attrezzi.