AGI – Un giorno di alcuni anni fa un manager di una delle più prestigiose case automobilistiche del mondo si presentò negli uffici della Dallara con un problema. I suoi tecnici, ma soprattutto la proprietà, erano stufi di schiantare auto da tre milioni di euro contro un muro sperando che prima o poi riuscissero a passare il test per l’omologazione e sapevano che tra le quattro mura dello stabilimento di supercar di Varano de’ Melegari, alle porte di Parma, qualcuno poteva avere la soluzione. Anzi: sapevano che era proprio questo l’approccio con cui alla Dallara si rapportavano ai fornitori: illustrare il problema e chiedere la soluzione.
Dallara era da tempo fornitore del suddetto marchio: di fatto nei suoi impianti si realizzavano e si realizzano ancora tutte le parti in carbonio e sono state disegnate l’aerodinamica e studiati i più piccoli dettagli per rendere la vettura performante. Ma restava da sciogliere il nodo dell’omologazione, che stava tra un’auto costosissima e un muro di cemento armato.
Poni il problema, trova la soluzione
Sapevano che alla Dallara avevano a disposizione una potenza di calcolo che poche altre aziende possono vantare e decisero di mettersi nelle loro mani. Presentato il problema, trovassero loro la soluzione. E la soluzione fu trovata: sfruttando i supercomputer che Lenovo ha messo a disposizione di Dallara e che risiedono in un edificio accuratamente climatizzato (con minimo impatto ambientale, però) individuarono il problema e presentarono alla Prestigiosa Casa Automobilistica la modifica da fare. Nel test successivo tre milioni di euro si schiantarono brillantemente contro un muro e fu un successo.
Questo piccolo (e costosissimo) episodio racchiude in sé la filosofia stessa di un posto come Dallara, la fabbrica di auto da corsa e supercar che in pochi anni, sotto la guida di Andrea Pontremoli, è passata dall’essere artigianato di lusso a icona di innovazione. Di più: punto di riferimento di un’intera filiera, quella della Motor Valley.
Dallara, gli appassionati lo sanno, produce a suo marchio una sola vettura, la Stradale, in due versioni. Un gioiellino che si può portare a casa per una cifra compresa tra i 180 e i 250 mila euro, ma soprattutto produce le vetture impegnate nei circuiti di tutto il mondo: dalla Formula 2 alla 3, alle E (la elettrica) fino alla Indie e alle più iconiche competizioni americane.
Le regine delle corse
Ogni fine settimana sulle piste di tutto il mondo corrono 300 auto realizzate in questa fabbrica. Il cuore e l’immaginazione di tutto è nell’edificio voluto dall’ingegner Giampaolo Dallara a due passi dal borgo natio – e che contiene anche uno straordinario museo di auto da sogno – ma il cervello è in una serie di rack che contiene i macchinari di Lenovo.
Una collaborazione che risale al 2012 e che funziona su un principio semplice: i progettisti presentano un problema, gli informatici – in questo caso Lenovo – devono risolverlo. Adesso, ad esempio, le due aziende lavorano sull’uso dell’Intelligenza artificiale per eliminare i tempi morti nel sistema: qui si ha a disposizione una manciata di mesi per mettere a punto una vettura da corsa e portarla in pista. Le altissime pretese di una realtà come Dallara trovano poi applicazione in ambiti diversi, come previsioni del tempo sempre più precise.
I supercomputer alla prova
Si chiama high performance computing e dei primi 500 siti per potenza di calcolo in cui viene utilizzato, un terzo impiega macchine Lenovo. “Il team che lavora con Dallara”, dice Alessandro de Bartolo, country general manager ISG di Lenovo, “è quello che ha sviluppato i progetti per i fondi del Pnrr per potenziare le capacità italiane di supercomputing”.
“Il tema” dice da parte sua Pontremoli, Ceo di Dallara, “è usare la tecnologia esistente per cose per le quali non sono state pensate. La tecnologia che abbiamo a disposizione è molto di più di quella che usiamo e la soluzione ai problemi è nel modo diverso di utilizzarla”. E la Motor Valley, questo panorama di 8 brand famosi in tutto il mondo – da Ferrari a Ducati, da Lamborghini a Dallara – e 16.500 piccole realtà che nel loro campo sono le migliori, sfrutta al massimo la tecnologia pur mantenendo un approccio artigianale. “Per un’azienda è importante trovare dei fornitori che siano i numeri uno per passare da un ‘egosistema’, ossia autoriferito, a un ecosistema. Questo permette di dare un’ulteriore spinta all’innovazione, grazie allo scambio di informazione: basti pensare che il 30% delle idee innovative viene dall’interno dell’azienda e quasi il 70% dai fornitori. Solo una parte residuale viene dalle università”.
Salvaguardare il modello formativo italiano
Eppure proprio sull’università e sulla formazione Dallara ha investito molto, partecipando alla creazione di quel programma che mette insieme i quattro atenei dell’Emilia Romagna e ha portato alla nascita di lauree specialistiche le cui lezioni si svolgono all’interno dell’azienda, come avviene proprio alla Dallara. “Bisogna salvaguardare il modello formativo italiano” dice Pontremoli “che non è iperspecialistico come quello statunitense. Questo permette ai nostri giovani di adattarsi più velocemente di altri alle nuove sfide professionali”.
Un modello che parte da lontano, dalla scuola elementare e media, con il progetto F1 in Schools Italia (di cui anche Lenovo è partner, oltre che technology partner F1)che coinvolge bambini e ragazzi dai 10 ai 16 anni strutturandoli in scuderie che devono affrontare il tipo di problema che i team reali devono gestire.
“L’innovazione non è costo più profitto” dice Pontremoli, “ma è un valore che cambia con il cambiare delle condizioni. Il prezzo dell’innovazione è legato al valore e il valore non è legato al costo. Qui, ad esempio, usiamo la tecnologia per sbagliare. Dal foglio bianco all’auto in pista passano nove mesi: otto sono in virtuale e uno solo è con il modello reale. Usiamo modelli matematici, sfruttiamo i dati che raccogliamo in pista, usiamo i simulatori per guidare auto che non sono mai state costruite”.
Ma la sfida più ardua è sempre quella che deva ancora venire. “Sta avanzando un altro modello molto più potente che è l’open innovation” aggiunge Pontremoli, “siamo sempre, costantemente in ritardo. La velocità è sempre più alta e la tecnologia sempre più profonda e l’open innovation lavora sul presupposto che la tecnologia per fare quello che serve esiste e che la domanda da porsi è: ‘cosa vogliamo fare?’. La vera innovazione è pensare a cosa vorremmo fare senza avere l’alibi del limite tecnologico”.