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Schiaffi alla figlia di un anno “perché nata femmina”: padre condannato a Milano

Nov 6, 2018

Prendeva “a schiaffi” la figlia di poco più di un anno perché era di “sesso femminile e non maschile”, come lui avrebbe voluto, e sottoponeva la moglie, che aveva sposato quando lei aveva 15 anni in Pakistan, a una lunga serie di violenze colpendola, tra l’altro, con calci e pugni, con una cinghia e stuprandola. Per maltrattamenti, lesioni e violenza sessuale l’uomo, un 30enne afgano, è stato condannato dal gup di Milano Guido Salvini a 3 anni e 8 mesi di carcere in abbreviato. La donna e la figlia ora sono in una comunità.

L’uomo, arrestato a fine agosto scorso e difeso dal legale Maria Pia Licata, era accusato di maltrattamenti perché, tra marzo e giugno scorso, avrebbe sottoposto la moglie e la figlia, nata nel febbraio 2017, “ad atti di violenza fisica e psicologica”. In particolare, dallo scorso 5 marzo e “in più occasioni, adoperava violenza – si legge nell’imputazione – sulla figlia minore prendendola a schiaffi in quanto di sesso femminile e non maschile, come il padre avrebbe voluto”.

Più volte, poi, avrebbe minacciato la moglie dicendole “se chiami la polizia ti uccido”, “ti butto giù dal balcone” e “anche in presenza della figlia minore, la percuoteva con calci e pugni, con il cavo del carica batterie e con una cinghia di una borsetta, e più volte le imponeva di non alzare lo sguardo da terra”. Era imputato anche per lesioni, perché aveva ferito la moglie con un coltello alla gamba destra, “dicendole che gli ‘andava di farlo’ e in un’altra occasione le provocava delle ecchimosi colpendola con il caricabatterie del cellulare e con il laccio di pelle di una borsa”.

E’ stato condannato anche per sequestro di persona perché chiuse a chiave la moglie “dentro l’abitazione, impedendole di uscire” in più occasioni, tra marzo e fine giugno scorso. Infine, anche le violenze sessuali contestate perché “in tre occasioni” la costrinse a subire abusi. Il giudice ha condannato l’afgano per tutti i reati a 3 anni e 8 mesi di carcere in abbreviato, ossia con lo sconto di un terzo previsto dal rito sulla pena. E anche al risarcimento danni alla moglie, parte civile anche per la figlia (entrambe ora vivono in una comunità).

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