la nomina
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio si è convinto della necessità di nominare quanto prima un inviato speciale del Governo italiano per la crisi libica
di Gerardo Pelosi
19 dicembre 2019
3′ di lettura
Sull’aereo che lo ha riportato a Roma martedì sera alla fine dei colloqui avuti a Tripoli, Bengasi e Misurata per riannodare i contatti politico-diplomatici in Libia, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio si è convinto della necessità di nominare quanto prima un inviato speciale del Governo italiano per la crisi libica. Una figura di alto profilo in grado di dialogare, e farsi ascoltare, sia da Tripoli che da Bengasi. L’idea non è nuova e ha un precedente illustre.
Il precedente
Cinque anni fa, esattamente nel 2014, Federica Mogherini, prima di assumere l’incarico di Alto rappresentante per la politica estera e di difesa europea, da ministro degli Esteri aveva seguito da vicino (anche insieme al segretario generale dell’Onu, Ban ki-Moon) il progressivo deteriorarsi della crisi libica e aveva pensato a un inviato ad hoc per quel Paese. Anche allora si pensava a un politico di alto profilo. Romano Prodi sarebbe stato il nome più indicato. Si era occupato molto di Libia anche da presidente della Commissione Ue ma era visto come persona troppo legata all’epoca gheddafiana. Nulla di più semplice, allora, che candidare il viceministro degli Esteri di quella fase, Lapo Pistelli. Ma per vari motivi (non ultima una sorta di “amicizia” molto competitiva con il premier dell’epoca, Matteo Renzi) la candidatura svanì presto e venne nominato inviato l’ambasciatore italiano che stava appena chiudendo per l’inagibilità dovuta a problemi di sicurezza la nostra sede diplomatica a Tripoli, Giuseppe Buccino (lo stesso tornato ora a Tripoli come ambasciatore). Pistelli continuò però ad occuparsi (e molto) di Libia, sia pure da un altro punto di osservazione, ossia quello di “ministro degli Esteri” del gruppo Eni.
I candidati
Alla Farnesina, però, sul nome del possibile candidato che si dovrebbe interfacciare direttamente con l’inviato dell’Onu, Ghassam Salamè, con il presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli, Fayez al Sarray e con il generale di Bengasi, Khalifa Haftar vige una rigida consegna del silenzio. “Lo deciderà personalmente Di Maio” è il leitmotiv che si sente ripetere più frequentemente nelle ultime ore. Qualcosa comunque trapela quantomeno sull’identikit al quale dovrebbe rispondere il futuro inviato. Non sarà quasi certamente un diplomatico ma un politico, preferibilmente ormai fuori dai giochi di partiti e correnti che conosce la situazione in Libia e sia in grado di farsi ascoltare dalle autorità di Tripoli e Bengasi. Un lavoro difficile, impegnativo che scoraggerebbe chiunque. Tanto che, dalle voci di corridoio che filtrano, sembra che Di Maio abbia già ricevuto alcuni autorevoli dinieghi da parte di personalità alle quali si era rivolto per l’incarico.
Da Parisi a Fassino
Quanto ai nomi possibili finora vi sarebbe solo traccia di una sorta di “autocandidatura”, quella dell’inviato Onu per la Siria, già sottosegretario agli Esteri e inviato ad hoc per la questione dei marò in India, l’italo-svedese-americano, Staffan De Mistura, un funzionario delle Nazioni Unite che ne ha viste di tutti i colori dai Balcani al Medio Oriente e non si spaventa certo per la guerra civile in corso in Libia. Ma Di Maio non lo avrebbe preso in considerazione. Nella rosa dei nomi verrebbero valutate con attenzione anche figure come quella di Arturo Parisi, già sottosegretario alla presidenza con Romano Prodi e poi ministro della Difesa o Piero Fassino che prima di essere sindaco di Torino era stato viceministro degli Esteri e poi inviato Onu per la Birmania. L’importante in ogni caso è che agli annunci seguano decisioni operative. Anche per non avvalorare quella triste profezia apparsa sull’ultimo numero dell’Economist secondo la quale mentre i Paesi europei sulla Libia danzano il loro minuetto condito da incontri e documenti più meno congiunti c’è chi, senza tanto rumore, continua a far arrivare armi e danaro a questa o quella milizia rendendo la situazione ogni giorno meno governabile.