LECCE – Tonnellate di veleni sepolte sotto la discarica Burgesi di Ugento, in provincia di Lecce, probabilmente i resti di 600 fusti contenenti rifiuti speciali smaltiti illegalmente alla fine degli anni Novanta.
La Procura di Lecce, che indagava sul traffico di sostanze pericolose dal Nord verso il Salento, ha dovuto chiedere l’archiviazione dell’inchiesta per prescrizione dei reati che sarebbero stati commessi oltre quindici anni fa, ma ha contemporaneamente sollecitato i Comuni di Ugento e di Acquarica del Capo (il primo competente per territorio, il secondo per vicinanza al sito) ad avviare la bonifica dei siti inquinati – all’epoca gestiti dalla Monteco, che era autorizzata a conferirvi soltanto rifiuti solidi urbani – e oggi dismessi.
Se pure i fusti non sono stati cercati (vista l’impossibilità di trovarli nella montagna di spazzatura in cui è stata trasformata negli anni la discarica), dalla perizia effettuata dai consulenti dei magistrati risulta chiaro che nel percolato della zona di Burgesi sono presenti tracce di Pcb, i policlorobifenili che l’Istituto superiore di sanità e l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro indicano come pericolosissimi per l’uomo. Tale materiale sarebbe arrivato in discarica tramite centinaia e centinaia di fusti (almeno 600) portati da una ditta di Torino con sede anche in Salento.
A raccontarlo fu l’imprenditore Gianluigi Rosafio, genero del boss ergastolano Pippi Calamita e coinvolto in un processo per illecito smaltimento di rifiuti. Rosafio ha testimoniato davanti alle pm Angela Rotondano e Elsa Valeria Mignone di avere egli stesso gestito il trasporto a Burgesi di fusti contenenti sostanze pericolose, spacciandoli come rifiuti ordinari. La discarica è stata dismessa diversi anni fa e messa in sicurezza come sito di rsu, ma oggi la Procura ritiene che il materiale tombato sia di altra natura e chiede ai Comuni una diversa messa in sicurezza.
Le amministrazioni di Ugento e Acquarica – che non hanno partecipato alla gestione del sito – hanno dato mandato all’avvocato Luigi Quinto di tutelare le proprie ragioni e anche l’immagine dei due paesi a forte vocazione turistica, con una richiesta milionaria di risarcimento danni da inoltrare alla Monteco. I Comuni chiederanno inoltre a Regione e Provincia l’apertura
di un tavolo tecnico, al fine di disporre ulteriori monitoraggi nell’area e capire se effettivamente esistano i resti di quei fusti di cui parlò Rosafio, così come emerge dalla perizia disposta dalle pm.In tal caso bisognerà disporre una nuova messa in sicurezza a carico della Monteco e non delle amministrazioni – sostiene l’avvocato Quinto – considerato che l’ipotesi di eliminare l’enorme mole di rifiuti è ormai impraticabile.