AGI – La manovra “concentra interamente le sue risorse sui lavoratori, sulle famiglie, sui redditi medio-bassi”. Giorgia Meloni difende la legge di bilancio, così come Giancarlo Giorgetti che nelle sue interlocuzioni ripete che si è riusciti a “fare un miracolo” considerando le condizioni esistenti, dal patto di stabilità alla necessità di tenere sotto controllo i conti pubblici. Proprio per non spostare l’attenzione dai contenuti che verranno votati dal Parlamento la premier ha dato il suo avallo al ritiro della norma sugli stipendi degli esponenti di governo non eletti che sanciva l’equiparazione a quella dei parlamentari. “Fanno lo stesso lavoro, dunque dovrebbero avere lo stesso trattamento. Non mi faccio dare lezioni da chi ha dato 300 mila euro di denaro pubblico a Grillo ogni anno”, ha detto il presidente del Consiglio.
L’emendamento della discordia
Ora ci sarà la prova dell’Aula della Camera ma la maggioranza e il governo non nascondono che nelle ultime 48 ore c’è stato un ‘cortocircuito’ che sarebbe stato utile evitare. “È stato un travaglio”, l’ammissione di un esponente dell’esecutivo. “Questo sì, poi no, sembrava di essere su ‘Scherzi a parte’…”, taglia corto un capogruppo della maggioranza che ha partecipato ai lavori nella notte. Perché in commissione si è decisi in extremis di modificare il tanto contestato emendamento (e la cosiddetta norma ‘anti-Renzi’), virando sul rimborso spese per quegli esponenti di governo che non hanno base a Roma. Dovranno presentare un giustificativo, “ma quello che conta – dice un ministro – è che abbiamo salvaguardato un principio sacrosanto”.
“Io – protesta un sottosegretario – spendo minimo 450 euro alla settimana in viaggi. Non era più possibile andare avanti così”. Il timore soprattutto in Fdi è che la ‘retromarcia’ impressa faccia tornare un vento di anti-politica che sembrava essere affievolito. “Uno che è in una grande azienda e guadagna tanto al mese perché dovrebbe dedicarsi alla causa dello Stato? Rischiamo come al solito la demagogia”, il ‘refrain’ nel partito guidato da Giorgia Meloni. Ma è stato proprio uno dei fondatori di Fdi, Guido Crosetto, a dare il là al cambio di rotta.
Le riflessioni nella maggioranza
Nella notte “tra riformulazioni che non arrivavano e continui dietrofront abbiamo sfiorato il ridicolo”, attacca un esponente dell’opposizione. Ma nella maggioranza c’è anche chi contesta non solo il ‘metodo’ utilizzato sulla norma degli stipendi dei ministri non eletti (“La misura andava scritta meglio e occorreva allo stesso tempo difenderla”, taglia corto un relatore del centrodestra), ma anche sul continuo confronto con le forze politiche che non sostengono l’esecutivo. “Occorreva fare solo una riunione con l’opposizione, poi andare dritti. Non capisco tutto questo spazio che abbiamo concesso”, osserva un altro ‘big’ della maggioranza che era seduta al tavolo coordinato soprattutto dal sottosegretario al Mef Federico Freni con il suo thermos di tè.
Entro le ore 19 terminerà l’esame in commissione Bilancio, poi alle 19,30 la capigruppo fisserà il ‘timing’: alle 19 domani verrà posta la questione di fiducia che sarà votata venerdì. Al Senato il via libera è previsto per il 27 o il 28 dicembre.