La morte di Walt Disney nel 1966 segna un importante spartiacque nella produzione cinematografica di quella che oggi è l’azienda più influente nel cinema moderno. Il 1967 iniziò con un profondo declino e venne caratterizzato da una forte crisi creativa: a Burbank, insomma, sembrava che la morte di Disney dovesse portare anche la fine della creatività, che aveva caratterizzato fino a quei tempi gli studios. Film come Gli Aristogatti, sul quale tra l’altro si è tanto ironizzato dato il mai confermato odio che Disney aveva per i felini, ma anche produzioni come Robin Hood, Le avventure di Winnie the Pooh, Le avventure di Bianca e Bernie e Red & Toby, furono produzioni di discreto successo commerciale, ma che non riuscirono a portare a casa il medesimo successo che Walt Disney era abituato ad avere, convincendo non solo il pubblico, ma anche la critica. I suoi lungometraggi avevano segnato un’epoca, da Biancaneve a Pinocchio, da Dumbo a Bambi, fino anche a Fantasia, Peter Pan, Alice, Cenerentola e così via. L’apice del successo, raggiunto con Mary Poppins, La spada nella roccia, Il libro della giungla era ben lontano.
Il tentativo di acquisizione
Il declino era talmente forte che nel 1984, quasi vent’anni dopo la morte di Walt Disney, il miliardario Saul Steinberg si presentò alla porta di Michael Esiner, divenuto nel frattempo amministratore delegato dell’azienda. Steinberg, un illustratore romeno naturalizzato statunitense laureatosi in architettura al Politecnico di Milano in architettura, quell’anno era stato inserito nella top30 dei designer più influenti del ventesimo secolo dalla rivista giapponese Idea: prendere possesso della Walt Disney Pictures sarebbe stato il naturale passo in avanti per la sua carriera, ma Eisner, supportato da Jeffrey Katzenberg e Frank Wells, diventato presidente della società, sventarono l’acquisizione: in loro c’era l’intenzione di riportare la Walt Disney ai tempi d’oro di una volta.
Le prospettive, però, non sembravano promettere bene e i pochi barlumi di speranza stavano diventando sempre più fiochi. A confermarlo fu Taron e la pentola magica, un fiasco al botteghino e un insuccesso di critica e di pubblico. Lo scarso risultato del 25esimo classico Disney, diretto da Ted Berman e Richard Rich, costrinse la dirigenza a cambiare radicalmente il dipartimento d’animazione, spingendo la Walt Disney Pictures a realizzare lungometraggi per la televisione, più remunerativi e meno costosi. Fu un ridimensionamento in pieno stile, condizionata anche dall’abbandono di Don Bluth: il regista americano fondò la propria azienda ed esordì sul mercato con capolavori indimenticabili con Fievel sbarca in America e Alla ricerca della Valle Incantata, culminando il proprio esordio in solitaria con Charlie – Anche i cani vanno in paradiso: un trittico che permise a Don Bluth di portare con sé un numero ingenti di dissidenti dalla Disney e di far affondare ancora di più i risultati al botteghino dei suoi ex colleghi, che nel frattempo pubblicarono Basil L’investigatopo e Oliver & Comany.
La separazione da Don Bluth è forse uno dei momenti più cocenti della crisi che attraversò la Disney in quegli anni, perché anni dopo il regista arrivò a realizzare anche Anastasia, dimostrando che da regista aveva un valore che a Burbank era stato soffocato dal suo ruolo di animatore da Robin Hood in avanti. A Don Bluth, tra l’altro, dobbiamo anche la serie videoludica di Dragon’s Lair, ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.
L’intervento di Roy Edward Disney
Fu l’intervento di Roy Edward Disney, figlio del moneyman Roy Oliver Disney, il fratello di Walt, a dare una svolta a un’azienda che stava precipitando nel baratro. Roy siglò un accordo con Steven Spielberg e spinge l’azienda alla realizzazione di Chi ha incastrato Roger Rabbit, un successo che risanò le casse di Burbank e che ridiede interesse per i cartoni animati sul grande schermo. Quello che ancora mancava, però, era una storia che potesse tornare ad affascinare il grande pubblico e fu l’idea di adattare La sirenetta, la favola di Andersen, a cartone animato che risanò le sorti della Disney, dando anche vita a quella fase che oggi è conosciuta come Rinascimento Disney.
Per la prima volta, la Walt Disney puntò sulla realizzazione di un prodotto che andasse a creare una commistione di generi: l’animazione fusa al musical stile Broadway. Per potercela fare, però, fu necessario affidarsi a degli esperti: Howard Ashman e Alan Menken. I due avevano già lavorato a numerose commedie musicali di successo, il primo come paroliere, il secondo come compositore, e nel 1982 avevano esordito con La piccola bottega degli errori, che anni dopo vinse anche l’Oscar per la miglior canzone. Era l’inizio di una carriera che non ha eguali per Menken, che a oggi è l’unica persona vivente ad aver vinto un così alto numero di Oscar competitivi, oltre a esser uno degli otto al mondo ad aver vinto per due anni consecutivi nella categoria della miglior colonna sonora.
Menken insieme con Ashman compose la colonna sonora de La Sirenetta, che arrivò al cinema il 17 novembre 1989, sbancando a tutti i botteghini e diventando il più alto incasso cinematografico all’epoca per un film d’animazione. L’utilizzo di una trama già nota, di una favola di grande spessore, l’aver spinto i cartoni animati verso una concezione diversa di intrattenimento, più musicale, permise all’azienda di compiere un ritorno al passato che Walt Disney aveva già indicato con Fantasia nel 1940. Un’operazione che risultò essere vincente.
Katzenberg conia il Rinascimento
Il Rinascimento Disney durò dieci anni, dal 1989, anno dell’uscita de La Sirenetta, fino al 1999, anno in cui l’uscita di Fantasia 2000 sancì la chiusura del ciclo. A definire in questo modo il decennio fu Jeffrey Katzenberg, all’epoca capo sezione cinematografica della Walt Disney Pictures, che in maniera molto scontata definì quel periodo un vero e proprio rinascimento dell’azienda. Non si parlava, però, solo di una nuova primavera economica, ma anche di un modo completamente nuovo di approcciare l’animazione: le tecniche di narrazione, la scoperta dei musical grazie all’intervento di Alan Menken e anche i nuovi lavori di animazione che da La Sirenetta in avanti iniziarono ad affidarsi a movimenti di attori veri. I film che vennero realizzati in quel periodo a oggi rappresentano quelli più amati e apprezzati della Disney, tutti caratterizzati da una trama comune in più parti.
Bisognava rintracciare un protagonista giovane, se orfano di entrambi i genitori anche meglio, altrimenti di uno solo, conturbato da una storia sentimentale che lo condiziona per tutta la sua avventura, perché vive di un amore impossibile. Accanto al protagonista la necessità di affidargli un animale come compagno, come se fosse un famiglio. Furono i casi di Aladdin, con il suo fido Abu, poi toccò a Pocahontas, senza dimenticare Hercules con Pegaso e Filottete, Mulan con Mushu, Tarzan con il branco di gorilla, Quasimodo con i gargoyle e La bella e la Bestia con i numerosi servitori trasformati in oggetti.
Da Disney alla DreamWorks
La Walt Disney, però, nel 1995 non ebbe la lungimiranza di riconoscere l’importanza avuta da Jeffrey Katzenberg nel Rinascimento e così come accaduto con Don Bluth, anche il produttore americano decise di lasciare l’azienda. Insieme con Steven Spielberg fondò la DreamWorks, che di lì a poco avrebbe portato al cinema Z la formica, Il principe d’Egitto e l’indimenticato lungometraggio Un topolino sotto sfratto, pubblicato nel 1998. L’uscita di scena di Katzenberg spinse nuovamente i risultati del botteghino verso il basso, fino al momento in cui l’uscita di Anastasia di Don Bluth non andò ad affossare i risultati di Hercules, che incassò appena 255 milioni di dollari, la cifra più bassa dell’intero Rinascimento Disney, di molto lontano dagli 800 milioni de Il Re Leone. Numeri che non potevano giustificare i costi per la produzione: la storia del figlio di Zeus, d’altronde, costò 80 milioni, contro i 45 spesi per Il Re Leone. Inoltre in un periodo di totale depauperamento creativo, la Walt Disney Pictures iniziò a produrre dei sequel pensati solo per il mercato home-video, tra cui Il ritorno di Jafar.
Il declino riprese gradualmente con le uscite di Fantasia 2000 e di Dinosauri, dando il via al nuovo millennio, quello condizionato dalle uscite di Lilo & Stitch, Le follie dell’imperatore o anche dei flop commerciali come Atlantis, Il pianeta del tesoro, Koda fratello orso e Mucche alle riscossa. Un momento negativo che prima di poter tornare ad alti livelli ha dovuto aspettare una primavera creativa capitanata da John Lasseter e spinta da quella grande rivoluzione firmata da Dan Fogelman arrivata solo nel 2010 con Rapunzel.
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