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Resident Evil 7: ritorno alle origini dell’horror – La Repubblica

Gen 24, 2017

ROMA – Vent’anni dopo l’uscita del primo Resident Evil, videogame che ha di fatto creato il genere horror su console, la software house giapponese Capcom presenta il settimo capitolo della serie, decisa a riscrivere le regole di questo filone. Resident Evil 7 arriva però dopo anni di profonda crisi creativa: un periodo cupo per tutta l’industria nipponica dei videogame, incapace di proporre nuove idee e costretta a vivacchiare con sequel poco convincenti e remake di vecchi capolavori ormai sbiaditi. Per rilanciare il brand c’era bisogno insomma di ripartire da zero, confrontandosi con tutti i punti di riferimento dell’horror, nei videogame come nel cinema.

Ecco quindi che a cambiare sono prima di tutto le atmosfere: spariscono gli inflazionati zombie e i poco credibili ragni mutanti, e il giocatore diventa preda di una famiglia di squilibrati, nascosta tra le umide paludi della Louisiana. Temi e situazioni ricordano The Texas Chainsaw Massacre, punto di svolta dell’horror hollywoodiano, arrivato da noi con il titolo di Non Aprite Quella Porta. Gli osceni membri della famiglia Baker, antagonisti principali del videogame, si trasformano in nemesi ostinate che braccano il giocatore, sbattendogli in faccia la loro malsana passione per le mutilazioni, il sangue, le viscere. Di tanto in tanto si finisce persino per esagerare, dosando con poca attenzione i momenti splatter, ma alla fine tutto funziona. Dietro la follia sanguinaria dei Baker si scopre il sospetto di un’arma batteriologica, che lega questo capitolo ai precedenti, e ci sono scene di grande impatto, che mettono il giocatore di fronte a scelte importanti e inaspettate.

Il successo di Resident Evil 7 passa anche da un integrale cambio di prospettiva. Capcom ha conservato tutti gli elementi classici della sua trilogia originale, tranne l’inquadratura: che qui diventa in prima persona, per trasmettere così un’ansia più profonda e un terrore più avvolgente. Un cambiamento coraggioso che recupera le conquiste di Outlast, uno dei migliori giochi horror degli ultimi anni, arrivato nel 2014 da quella grande fucina di idee che è il settore dello sviluppo indipendente. Anche le grandi aziende giapponesi si sono accorte insomma che non è più possibile ignorare le trovate degli “indie”, tra i pochi che continuano a riversare energie creative in questo mercato. Soprattutto nel campo dell’horror, che da Paranormal Activity a The Blair Witch Project è sempre stato un genere attento alle spinte che arrivano “dal basso”.

La visuale in prima persona rende per altro Resident Evil 7 un gioco perfetto per la realtà virtuale: indossando PlayStation Vr, il caschetto di Sony uscito lo scorso ottobre, si riscopre un modo diverso, nuovo, di vivere l’orrore. Spariscono i confini rassicuranti dello schermo, i rumori della cadente dimora dei Baker divorano il giocatore. Forse le vendite non proprio entusiasmanti della Vr sono legate anche al fatto che fino ad oggi non c’era un gioco così, che avvince e destabilizza allo stesso tempo: un’esperienza sicuramente da provare.

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