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Reddito di cittadinanza alla ‘ndrangheta: oltre 500mila euro di sussidi per 101 boss del Reggino

Mag 20, 2020

Per i tribunali sono boss e colonnelli di storici casati mafiosi, capi e gregari dei maggiori clan di ‘ndrangheta, per l’Erario indigenti e disoccupati da sostenere con aiuti e sussidi. Per mesi, centouno mafiosi di Reggio Calabria e provincia hanno percepito indebitamente il reddito di cittadinanza e altri 15 avevano già inoltrato la domanda e attendevano l’esito della pratica.

A scoprirlo, la Guardia di Finanza della città calabrese dello Stretto, che ha passato al setaccio una lista dei circa 500 soggetti condannati definitivamente per associazione mafiosa e altri reati di mafia tra la Piana di Gioia Tauro, Reggio Calabria e la Locride. Sulla carta, nessuno di loro avrebbe dovuto ricevere il sussidio. In teoria, la norma esclude chiunque abbia ricevuto una condanna definitiva negli ultimi dieci anni. Ma basta presentare un’autocertificazione fasulla e ogni controllo viene aggirato. Oppure – ma su questo le indagini sono in corso – a non far caso a generalità e precedenti di chi inoltra la pratica devono essere impiegati e responsabili di Caf o Centri per l’impiego.

Risultato? Un quinto dei boss e gregari controllati nei mesi scorsi, molti dei quali destinatari di sequestri milionari e secondo i magistrati in grado di accumulare patrimoni da nababbi, ha “dimenticato” le pesanti condanne rimediate e si è messo in fila per ricevere il reddito di cittadinanza. E oltre mezzo milione di sussidi è finito in mano a noti esponenti dei clan.

Fra i beneficiari, ci sono esponenti di spicco dei grandi casati di ‘ndrangheta della città, come i Tegano e i Serraino, capibastone della Locride e persino i figli di Roberto “Bebè” Pannunzi, il Pablo Escobar italiano che si faceva vanto di pesare i soldi anziché contarli, uno dei più grandi broker mondiali di cocaina, in grado di farne arrivare in Italia anche due tonnellate al mese. Arrestato e condannato più volte, sfuggito al carcere con una rocambolesca evasione, Pannunzi è stato per anni latitante. Ed ha avuto il tempo di istruire e far crescere il suo erede, come lui, assicurava ai suoi clienti “a disposizione. Siamo con voi fino alla morte… Potete contare su tutto”.

Come il padre, Alessandro si è fatto strada nel grande mondo dei traffici internazionali di cocaina, anche grazie a un comodo matrimonio con la figlia di uno dei più grandi produttori di coca di Medellin. Arrestato nel 2018, circa un anno dopo è riuscito ad uscire dal carcere. E subito ha chiesto il reddito di cittadinanza, ottenuto nonostante nella pratica avesse omesso persino di indicare la propria residenza.

Non è l’unico nome di rango nell’universo dei clan ad aver ricevuto sussidi dallo Stato. I primi erano stati individuati dai finanzieri mesi fa con l’operazione “Salasso”, che ha scovato non solo proprietari di auto e ville di lusso, ma anche condannati per mafia e persino detenuti fra 237 percettori del reddito di cittadinanza della Locride.

Nei mesi successivi i controlli sono stati estesi ad ampio raggio. Base di riferimento, gli elenchi degli oltre 500 interdetti al voto per condanne definitive di mafia. Da lì si è partiti con gli approfondimenti sulla loro situazione patrimoniale e su quella dei nuclei familiari e sono saltati fuori boss e gregari che da mesi usano la card gialla fornita dal ministero per ricevere i sussidi mensili.

Tutti quanti sono stati denunciati e i loro casi segnalati alle procure di Reggio Calabria, Locri, Palmi, Vibo Valentia e Verbania, dove alcuni dei boss erano ormai stabilmente residenti. Toccherà invece all’Inps avviare le procedure di recupero degli oltre 516mila euro di sussidi indebitamente erogati, o quello che ne rimane sulle card. Per il resto, saranno necessari i sequestri. Ma è stata bloccata l’erogazione degli altri 400mila euro che i boss “falsi indigenti” avrebbero dovuto ricevere.

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