AGI – Resta forte il divario di genere nei redditi da pensione: secondo un’analisi presentata dal Civ dell’Inps, i differenziali, persistenti nel tempo, sono attribuibili a differenze nella continuità delle carriere che si riflettono in un divario salariale con un impatto diretto sui trattamenti retributivi e indiretto su quelli contributivi attraverso un minor montante contributivo. Oltre a questo, viene rilevato che le riforme del sistema pensionistico hanno avuto un impatto diverso tra i generi in quanto hanno allineato ai requisiti di accesso al pensionamento dei maschi i requisiti delle femmine che precedentemente erano meno stringenti. L’analisi dei dati ha permesso di rilevare che su 16,1 milioni circa di pensionati nel 2022, il 52% sono di genere femminile; queste però hanno percepito solo il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 141 miliardi, con un importo medio mensile pari a 1.416 euro, del 36% inferiore rispetto a quello maschile.
Negli ultimi 20 anni, in termini nominali, il divario di genere è cresciuto in modo continuativo nel tempo ed è passato da 3.900 euro nel 2001 a 6.200 nel 2022. A prezzi costanti (euro del 2022), l’aumento del divario è stato molto più contenuto. In termini relativi, ovvero rapportando la differenza al reddito delle donne, il divario è invece diminuito dal 42 al 36%. Le donne sono prevalentemente rappresentate nelle classi di reddito pensionistico più basso (fino a 1.500 euro mensili) mentre oltre il 70% dei percettori nella classe più alta (oltre i 3.000 mensili) è di genere maschile; questo deriva da una differenza nella tipologia di prestazione percepita (nel 2022, il 50% degli uomini riceve una pensione anticipata – quelle di importo più elevato in media – contro il 20% delle donne, mentre queste ultime sono prevalenti nelle pensioni ai superstiti).
Tali divari emergono anche considerando gli importi medi delle prestazioni, con un vantaggio maschile medio di oltre il 60% (1.430 eirp contro 884 euro, nel 2022), e nel numero di prestazioni pro-capite (mediamente maggiore per le donne). Inoltre, emergono profonde differenze di genere negli importi anche a parità di tipologia di prestazione (soprattutto per prestazioni di vecchiaia e invalidita’ con un gap del 50%) mentre i trattamenti assistenziali, legati a situazioni di disagio economico e con tetti massimi relativamente contenuti, hanno valori simili, in media. Di contro, le pensioni al superstite di cui le donne sono le principali beneficiarie contribuiscono a ridurre il divario, ma il contributo è molto contenuto. Focalizzando sulle prestazioni più strettamente legate all’attività lavorativa (anticipate e vecchiaia), il gender gap – spiega l’analisi Inps – è in linea di principio legato ad almeno tre fattori: retribuzione oraria, tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno) e anzianità contributiva (che dipende dalla durata e dalla continuità della vita lavorativa).